venerdì 2 marzo 2012

I sogni nell'Islam

Nella tradizione islamica l’importanza dei sogni e la pratica oniromantica ebbero uno spazio centrale come pratica divinatoria ed eccelsa attraverso cui Dio poteva comunicare con gli uomini.

L’interpretazione dei sogni e dei simboli era fondamento e tessuto della vita quotidiana e delle regole della dottrina.

Lo stesso Maometto ricevette in un sogno la sua investitura a profeta dall’angelo Gabriele. Questi gli presentò un frammento di broccato su cui erano scritte alcune parole, e gli intimò di leggere.

Nonostante l’ affermazione di “non saper leggere” quelle parole al suo risveglio parevano “impresse nel suo cuore come un ferro rovente” e costituirono l’inizio del Corano. Il seguito gli fu egualmente dettato nei sogni e di sogni e di visioni tutta l’opera è pervasa.

Nella tradizione coranica il sacerdozio come voto esclusivo non è contemplato: non esistono mediazioni tra l’uomo e Dio e Muhammad proibì qualsiasi pratica mantica, poiché nella divinazione rintracciava l’ignoranza e la cecità morale dell’epoca profana, ossia di tutto quello che c’era stato prima del suo avvento. Una sola scienza divinatoria viene risparmiata dalla censura e si guadagna un ruolo da vera protagonista nella spiritualità musulmana: l’oniromantica, ‘ilm al-ta‘bı¯r, ossia l’abilità di interpretare i simboli contenuti nel sogno per trarne auspici o insegnamenti. La scelta ovviamente non è casuale. Per i musulmani il sogno veridico, ru‘ya¯, ha in sé il potere e l’autorevolezza della profezia e consente a Dio di comunicare direttamente con l’uomo.

La stessa vita di Muhammad, infatti, ribadisce la nobiltà del mondo onirico e attribuisce una pregevole rilevanza all’interpretazione: è un sogno che annuncia alla madre la nascita del Profeta, sono i sogni a scandire i momenti salienti della sua esistenza e, ancora, attraverso la loro interpretazione egli riesce a presagire per il bene dei suoi. Per Muhammad e per l’insegnamento coranico la notte è il momento propizio per cogliere la Parola di Dio, mentre il giorno disperde l’attenzione e allontana da sé:

O Inviato, tu che ti avvolgi nel mantello pronto a dormire!
Veglia per almeno la metà
della notte in Preghiera,
recitando i versetti del Libro.
In verità, Noi stiamo per far scendere su di te la Nostra Parola
e le ore della notte sono quelle in cui il cuore
dell’uomo più si apre a Dio,
mentre l’agire del giorno lo distoglie dal pensare a Lui.
Invoca dunque il Nome di Dio a prosternarti in Preghiera.
In verità, Egli è il Padrone dell’Universo, l’Unico e l’Onnipotente.

Il Libro Sacro arrivò a Muhammad per diretta trasmissione divina:

[…] in verità, noi facemmo scendere su di te il Libro della Notte del Destino,
una notte che
è migliore di mille mesi!
In essa scesero dal Cielo, per nostra Volontà, i Nostri Angeli e il Nostro Spirito, a porre nel tuo cuore i Versetti del Libro. E, con ogni Versetto, la Nostra Pace!
Ciò sino allo spuntare dell’alba!

La Tradizione racconta che dai quarant’anni la sua vita fu pervasa di visioni. Nei sogni notturni una fi gura mostruosa, di proporzioni enormi, tanto da arrivare a toccare il cielo con la testa, cercava di afferrarlo. Di giorno udiva provenire da muri, sassi e ventri di animali, voci che lo riconoscevano quale Apostolo di Allah. Muhammad viveva queste esperienze con terrore, temendo di essere impazzito o di essere indemoniato. Una notte la solita figura gli comparve nuovamente in sogno: stringeva tra le mani un broccato su cui era scritto qualcosa e lo obbligò a leggere, nonostante tutte le sue resistenze. Al risveglio quelle parole erano impresse a fuoco sul suo cuore. Per i musulmani su quella stoffa erano stampate le parole che costituiscono l’incipit del Corano. La letteratura sacra non era nuova a questo tipo di storia: nell’ambito cristiano, infatti, si avvaleva già di un simile esempio nel Libro di Ezechiele o nell’Apocalisse di Giovanni, anche questo un testo nato, secondo gli insegnamenti, dal contatto con un’altra dimensione.

Nel Corano, dunque, il sogno e la visione hanno un ruolo indiscutibile e scandiscono i passi salienti del testo. Vi si racconta, tra l’altro, del viaggio che Allah fece compiere al suo Profeta durante la fase onirica:

Sia Lode a Dio, il quale, una notte, fece salire il Suo Inviato dalla Santa Casa alla Casa Celeste, affinché potesse mostrare a voi i Nostri Segni.

I miscredenti non credettero alla veridicità dell’accaduto e il sogno divenne espediente per mettere alla prova la fede. Il sogno, quindi, è anche tentazione (fitna):

Ricorda, Mohammad, di quando ti dicemmo che Dio è costantemente sugli uomini. E la visione che ti mostrammo la ponemmo quale tentazione per essi, allo stesso modo che, nel Libro, vi è l’Albero Maledetto. Noi minacciammo agli uomini i Nostri Castighi, ma ciò accresce solamente la loro miscredenza!

In un’altra occasione, attraverso il sogno, Dio legifera. Egli, che è Onniscente, fa vedere al Profeta ignaro un suo pellegrinaggio verso la Mecca secondo le usanze preislamiche. Egli dovrà realizzare la visione nella veglia, pur paventando una pessima reazione dei Meccani, e il risultato sarà l’introduzione dell’uso del pellegrinaggio alla Santa Moschea nel culto islamico:

Dio renderà concreta la visione da Lui mandata al Suo Inviato, quando gli disse: «Voi entrerete nella Santa Moschea vincitori, dopo esservi rasi il viso e accorciati i capelli e questa è promessa di Dio!» Egli conosce ciò che voi ignorate e ben presto vi concederà la sospirata vittoria!

Attraverso la storia di Abramo e del sacrificio di Isacco, invece, si ribadisce la veridicità del sogno e il suo potere di legare i buoni a Dio. Abramo realizza il contenuto del sogno accingendosi al sacrificio del figlio, che si presta come docile vittima all’avverarsi della volontà di Allah. L’atto volontario è frutto dell’ispirazione divina e diventerà ricompensa stessa della fede:

E noi gli demmo il lieto annuncio di un figlio, il quale crebbe paziente e mite.
Indi gli ordinammo di immolarlo, apparendogli in sogno, per cui Abramo così parlò al ragazzo: «Figlio mio, Dio vuole che io ti sacrifichi a Lui. Che cosa pensi che debba fare?».
Gli rispose il figlio: «Padre, conformati alla Sua Volontà e io sarò per te una docile vittima, nella speranza che Dio mi accolga nel Suo Paradiso, nel giorno del Giudizio».

Ma come Abramo fu sul punto di immolarlo,

Noi lo chiamammo: «Abramo! Fermati! Ora Dio sa che tu sei nel numero dei Credenti e dei Timorati!».

Ma sicuramente all’interno del Corano la storia di sogni e di interpretazioni più rilevante e rappresentati va è quella di Yûsuf, che si incentra fondamentalmente attorno a due sogni significativi: quello delle undici stelle, del Sole e della Luna e l’altro, celeberrimo, del Faraone.

Nel primo caso il sogno, opportunamente compreso dal padre di Yûsuf, rivela al giovane la volontà di Dio di concedergli il dono dell’interpretazione:

Un giorno Giuseppe disse a Giacobbe, suo padre. «Padre mio, ho visto in sogno il Sole, la Luna e undici stelle e tutti si prosternavano davanti a me».
Gli rispose Giacobbe: «Figliolo mio, guardati dal raccontare questo sogno ai tuoi fratelli, affinché essi non abbiano a odiarti per quanto Dio ti riserverà. In verità, Satana è per l’uomo un nemico manifesto ed eccita in lui odio e passioni!
Sappi che Dio ti ha scelto a Suo Inviato ed Egli ti darà la Conoscenza del significato delle Sue Parole».

Nel secondo caso Yûsuf, il Benigno e il Favorito da Dio per ricompensa alla sua fede, legge il sogno del Faraone che è capo della corte idolatra. Per i musulmani solo chi è puro di cuore può interpretare i segni divini. Ciò rende alta dignità alla figura dell’onirocritico. Infatti, poiché Satana può interferire col sogno suscitando invidia nell’animo degli uomini, i sogni vanno raccontati solo a persone buone e compassionevoli:

«Sire, io so chi potrà farvi conoscere il significato del vostro sogno, ma ora si trova in prigione. Andrò da lui ed egli mi svelerà ogni recondito segreto!». Si recò da Giuseppe e gli disse: «Giuseppe, Operatore del bene, dimmi che cosa significano sette vacche grasse mangiate da sette vacche magre e sette spighe verdi vicino a sette spighe secche. Parla affinché io possa riferirlo al Faraone e ai suoi Consiglieri».

In una società religiosa, quindi, in cui l’istituzione del sacerdozio non è contemplata, il sogno diventa il mezzo espressivo per eccellenza con cui Dio si rivolge anche agli uomini comuni, e non solo ai Profeti, concedendo loro una piccola rivelazione, figlia minore della profezia stessa. L’onirocritica islamica trova la sua funzione nell’individuazione del sogno veridico, ru‘ya¯, che proviene da Dio e ha carattere divinatorio. A questo si contrappone un secondo genere di sogno, hulm, che è invece espressione di Satana, la cui natura fastidiosa e molesta ne rivela immediatamente l’origine. Un caso a parte costituiscono i sogni che vengono definiti «grovigli di sterpi», un’interessante denominazione per quelle esperienze oniriche che, secondo l’accezione islamica, sono una manifestazione del limitato pensiero dell’uomo che si ripiega su se stesso, perso nelle sue congetture anche quando dorme, e che nulla hanno a che vedere con la dimensione trascendente.

Secondo l’onirocritica islamica individuare la provenienza del sogno è, tutto sommato, semplice e semplicistico. La discriminazione si basa infatti su due concetti essenziali: il primo di carattere sensibile, ossia un sogno che viene da Dio produce al sognatore sensazioni piacevoli, mentre un sogno demoniaco infligge percezioni sgradevoli che ne sottolineano i contenuti ingannevoli. Il secondo è di matrice etica, per cui più che considerare obiettivamente il contenuto del sogno, si giudica la personalità del sognatore che, se sincero, produrrà sicuramente materiale onirico attendibile.

Ciò trova conferma nello scritto Il giardino dei devoti di Imam an-Nawawi, che riferisce come per Muhammad colui che è il più veritiero nel sogno è anche il più veritiero nel raccontarlo. Nawawi spiega che per i profeti il sogno è una delle quarantasei parti della profezia, definizione che si avvicina in modo impressionante alla tradizione talmudica in cui varia solo l’elemento numerico. Secondo la cultura ebraica il sogno rappresenta la sessantesima parte della profezia, mentre il sonno un sessantesimo della morte. Ma l’accezione del termine profezia non può considerar si nella sua valenza più banale, cioè quella di previsione. La sua valenza è decisamente più esoterica e una chiave di lettura interessante la propone indirettamente Papa Gregorio Magno, il quale sostiene che «è il caso di tener conto che la finalità specifica della profezia non è di predire il futuro, ma di rivelare ciò che è occulto».

Sognare diventa quindi la possibilità stessa di aprirsi alla profezia e di esplorarne le sconfinate vie, la possibilità intrinseca all’uomo di farsi luogo per accogliere Dio attraverso le immagini, Dio che è l’Immagine per eccellenza. Ma, come sentenzia un antico insegnamento islamico, «il sogno è per il primo interprete», ossia appartiene non tanto al sognatore, che ha semplicemente il potere di produrlo, ma a colui che possiede le chiavi per penetrarlo e spiegarlo, tanto da poter innescare quel processo di eventi reali che non potrà più essere arrestato. Infatti, secondo la tradizione musulmana, «il sogno si avvera secondo la sua interpretazione», essendo quest’ultima il fatto reale e non il sogno in sé, che, senza un’adeguata lettura, rimarrebbe esperienza priva di senso. Di qui la necessità di scegliere adeguatamente la persona cui raccontare ciò che si sogna, così come quella di non riferire affatto i propri incubi, che vanno esorcizzati addirittura in maniera fisica, sputando tre volte al suolo, verso sinistra, come vuole il costume popolare, per scacciare il Maligno e rimettersi a Dio.

Ancora una volta i punti di contatto con la tradizione ebraica sono netti. Nel Talmud, infatti, si racconta di Rabbi Bannah che, avendo fatto un sogno, lo portò a interpretare dai ventiquattro onirocritici presenti a Gerusalemme. Ricevette in cambio ventiquattro interpretazioni diverse, eppure il Libro Sacro insegna che nessuna di esse fu falsa, perché tutte si avverarono. È evidente, quindi, che l’onirocritico gestisce un potere infinito, assurgendo de facto al ruolo di tramite tra l’umano e il divino e potendo concreta mente influenzare la vita del prossimo. Per la cultura islamica, e d’altro canto per numerose altre culture, egli è il depositario della verità che risiede nel sogno, nell’ottica in cui sogno e veglia, essendo due stati dell’essere, si equivalgono, sebbene il primo celi in sé la possibilità di accedere a una conoscenza superiore.

C’è un elemento, però, che caratterizza l’interpretazione del sogno nell’Islam, rendendola fondamentalmente fatto religioso e non spirituale e distinguendola dalle culture in cui l’interprete, mosso dall’ispirazione, è libero di perdersi nei meandri della propria particolare sensibilità: la conoscenza pedissequa, addirittura mnemonica, del Corano e delle Tradizioni, dato che ad essi si attinge per poter decodificare la valenza dei simboli onirici.

Sono in linea di massima tre i criteri per svelare il senso dell’elemento sognato: ricordarne, qualora ne esistesse un esempio, l’interpretazione data dal Profeta Muhammad in vita, rifarsi al significato allegorico che gli si riferisce nel Libro Sacro, lavorare sul nome dell’oggetto del sogno attraverso il suo significato, il suo senso opposto o la sua valenza etimologica. A tal proposito, così è riportato nel Ta‘bir al-ru‘ya¯, antichissimo trattato sull’interpretazione del sogno veridico che la tradizione vuole di Muhammad Ibn Sı¯rı¯n, sebbene problemi di datazione non confermino tale attribuzione:

Il sogno si interpreta in relazione ai tempi e ai momenti, talvolta con l’ausilio del Libro di Dio, talvolta delle Tradizioni o dei Proverbi. Può non rivolgersi a colui che sognò ma a chi gli somiglia nell’aspetto o nel nome. Il sogno si interpreta secondo il nome dell’oggetto sognato, considerandone il significato o il contrario o l’etimologia, qualche volta aumentando o qualche volta riducendone il valore.

Interessanti i casi esemplificativi del concetto di interpretazione che fornisce la stessa opera:

Esempi di interpretazione secondo Il Corano sono le uova, che indicano le donne per il versetto «Esse sono come uova celate», oppure la pietra che indica la durezza di cuore per il versetto «I vostri cuori si indurirono e divennero come le pietre». […] Esempi di interpretazione mediante le Tradizioni sulla vita del Profeta sono il corvo e il topo che indicano l’uomo e la donna turpi, perché turpi il Profeta chiamò questi animali, oppure la costola che rappresenta la donna poiché, come disse Muhammad, su di lui siano la preghiera e la pace, la donna fu creata da una costola ricurva. […] Esempi di interpretazione mediante il significato letterale del nome sono i nomi propri: Fadl vuol dire ‘eccellenza’, Ra¯sˇid ‘rettitudine’, Sa¯lim ‘pace’. […] Un esempio di interpretazione per contrario è il pianto che significa gioia purché non sia accompagnato da grida, urla o grande pena del cuore.

Il mu‘abbir, ‘interprete di sogni’, quindi, non è un veggente, come negli usi preislamici. È un dotto e un indottrinato, che si inserisce in un quadro teocratico e che può muoversi in un ambito definito e delimitato: quello della Legge rivelata. E, per non influenzare negativamente la profezia contenuta nel sogno, deve essere irreprensibile da un punto di vista morale, come testimonia la Sura di Giuseppe.

Su esempio del Profeta, l’uomo comune sentì l’esigenza di appropriarsi del linguaggio dei sogni. Sotto tale impulso, il numero degli interpreti aumentò incredibilmente e, quando anche questi non bastarono più ad appagare le necessità onirocritiche, nacque il bisogno di mettere per iscritto i criteri che imbrigliavano l’interpretazione nel quadro dell’insegnamento coranico. Il primo e più importante insegnamento riguarda l’oggetto sognato, inserito in una gerarchia che chiaramente prevede al primo posto Dio. Seguono per importanza, in maniera non così vincolante e rigida, i profeti e i giusti, gli esseri sovrannaturali (figure angeliche e demoniache), gli uomini, gli animali, i defunti:

Sognare che il Sublime, l’Altissimo, esprima approvazione, si interpreta come benedizione, felicità e prosperità. Tale sogno, inoltre, indica che così lo si incontrerà nel Giorno del Giudizio poiché Egli approva l’operato della nostra vita. […] Sognare un angelo porta onore nella vita terrena, felicità e vittoria alla gente del luogo ove il sogno è avvenuto. Sognare gli angeli di rango più elevato è buon auspicio e predice sˇaha¯da, fertilità, abbondanza di pioggia, dovizia di ricchezza e modicità dei prezzi. […] Un uomo sconosciuto apparso in sogno è davvero un angelo e perciò non necessita di interpretazione. […] L’apparizione del Profeta in sogno è di buon auspicio e può indicare molte azioni di pietà purché non compaia alcun elemento riprovevole, in questo caso, infatti, il sogno è presagio di afflizione nella vita materiale e di miseria.

Citato nove volte nel Corano. Nella Sûra 12ª, in cui si narra la storia di Giuseppe, è visto come comunicazione da interpretare da parte di colui cui Dio ha dato il dono dell'interpretazione dei sogni. 12ª6 Così il Signore ti sceglierà e ti insegnerà l’interpretazione dei sogni. Nella storia sia biblica sia coranica vi sono il primo sogno di Giuseppe, i due sogni del coppiere e del panettiere del faraone, e vi è il sogno del faraone a proposito delle 7 vacche magre e delle 7 vacche grasse, e delle sette spighe, secondo una vicenda descritta anche nella Bibbia.
12ª43-44 Il re disse: «Certo, ho visto sette vacche grasse mangiate da sette magre; e sette spighe verdi, e altrettante secche. O maggiorenti, datemi una spiegazione del sogno, se sapete interpretare il sogno.» Dissero: «E' un mucchio di sogni. Non sappiamo interpretare i sogni.»
La storia di Giuseppe comunque è nota a tutti e non starò a raccontarvela. Il Corano cita ancora il sogno parlando dei detrattori del Profeta, che lo accusavano di raccontare sogni: 21ª5 Essi dissero: «Ecco piuttosto un ammasso di sogni. No, egli lo ha inventato. No, è un poeta. Ci porti un segno come quelli che avevano i primi inviati.»
* Ma veniamo globalmente al sogno nel mondo islamico. Di esso in modo specifico si occuparono sia i teologi (il sogno nel Corano, e il sogno come discorso diretto di Dio al fedele), sia gli appassionati di Magia, sia i medici psicologi e psichiatri. Lo sviluppo di una scienza onirocritica diede luogo a molti libri sull'interpretazione del sogno. La scienza del sogno (`ilm âl ta`bîr) è affidata non al veggente ma al dotto, vuoi al medico stesso. Una delle prime opere in merito fu il Libro dei sogni di Hunayn bn Îshâq (?-873), ma ben più importante fu il Tafsîr âlRu`yâ di Muhammad bn Sîrîn (?-728), cui seguirono non meno di ottomila testi ed opuscoli lungo il corso dei secoli, libri ed opuscoli sempre più scientificizzati.
Va detto anzitutto che i primi manicomi al mondo furono musulmani. Celebri quello di Aleppo, fondato da Nûr âlDîn Mahmud Zanji poco dopo il 1157, rifatto nel 1260 da âlNasir il Mamelucco, con tre sezioni: inizio, cura, cronici; quello di Divrigi, nel cuore della Turchia, fondato nel 1228 per conto della principessa Turan Malk; quello di Edirne, fondato da Beyazit II° nel 1498, descritto da Evlia Celebi, e nel quale c'era anche un reparto di musicoterapia ed uno di idroterapia per le psicosi. Vi si descriveva la suddivisione del sonno così come è stata individuata oggi: sonno REM e sonno profondo (durante il sonno REM il corpo dorme e la mente è sveglia e sogna, e durante il sonno profondo il corpo è sveglio e la mente dorme e non sogna); vi si insegnava l'interpretazione dei sogni, suddividendoli nelle tre parti note alla scienza occidentale d'oggi: il sogno comunicazione dell'inconscio (che serve egregiamente alla psicoterapia); il sogno soluzione di un problema che angustia allo stato di veglia; il sogno determinato da una situazione che d'improvviso altera l'ambiente in cui si dorme. Parlano del sonno e dei sogni alcuni fra i più importanti trattati di psichiatria: quello di Najab âlDîn Muhammad di Samarcanda (VIII secolo), quello di Âbû Sayd bn Bakhtyshu, il - Risalah fi âlTibb wa âlAhdat âlNaf saniya, in cui si discute di: olistica, psicosomatismo e somatopsiche; e i testi di Îbn Masawaih (800-857), di Âbi âlÂsh`ath (?-970), di Humaiun bn Îshaq (809-873), nei quali è maggiormente descritta la depressione; e il celeberrimo Maqâla fî âlMâlîhûliyâ (trattato della Melanconia) di Îshâq bn `Imrân (?-970), tradotto in latino da Costantino l’Africano; l'autore vi distingue acutamente tristezza, ansia, angoscia, valori psichici e valori somatici, e parla di analisi della psiche elencando le medicine appropriate.
Oltre a questi trattati scientifici, vi è poi una abbondante letteratura mistica, in cui il sogno è veicolo di comunicazioni tra il mondo dei profeti e dei maestri, e gli adepti sufi sulla terra. Ne cominciò a parlare Âbû Bakr Kalâbâdî (?-995) nel suo Libro delle informazioni sulla dottrina degli uomini del Sufismo. Tra i molti esempi, giusto a mo' di esempio cito questo passo: « Una testimonianza sull'autenticità dei sogni è data dal seguente fatto tramandato per tradizione, che ci è stato riferito e che risale ad Hasan Basrî, il quale disse: "Entrai nella moschea di Basra. Un gruppo dei nostri compagni vi si erano seduti ed io mi unii a loro. Ora, stavano parlando di un certo personaggio e ne dicevano male in sua assenza. Io dissi loro di non parlarne e citai delle tradizioni sulla maldicenza, che avevo raccolto e che risalivano all'Inviato da Dio e anche a Gesù figlio di Maria. I sufi dunque si astennero dal continuare e si misero a parlare d'altro. Dopo uh momento, il caso di quell'uomo si presentò di nuovo nella conversazione; essi ne discussero e anch'io mi misi a discuterne con loro. Poi ognuno se ne andò a casa per conto suo, e anch'io andai a casa. Mi addormentai e subito ebbi un sogno in cui un uomo di colore venne da me portando un piatto di legno di salice in cui c'era un pezzo di carne di maiale. Mi disse: "Mangia!" "Non la mangerò, è carne di maiale." Egli insistette ed io diedi la stessa risposta; poi una terza volta ed io ancora risposi: "Non mangerò, è carne di maiale, ed è proibita." "Tu la mangerai!" Io rifiutai ancora. Allora egli mi aperse le mandibole e mi mise in bocca il pezzetto di maiale. Io mi misi a masticare, poiché l'uomo di colore era rimasto davanti a me, e avevo ad un tempo timore a sputare il boccone e disgusto ad inghiottirlo. Fu in queste condizioni che mi svegliai; e per trenta giorni e trenta notti - non potei proprio farci nulla! - in tutto ciò che mangiavo e in tutto ciò che bevevo trovavo il sapore e l'odore della carne di maiale.»
L'iraniano Shihâb âlDîn Suharawardî (1155-1191), uno dei massimi maestri dell'esoterismo sufi, nel suo Libro dei raggi della Luce (Partaw Nâmeh) scrisse: «Può accadere che l'anima percepisca una forma di grande bellezza, la quale gli rivolge un discorso di bellezza altrettanto grande. Può accadere che senta una voce chiamarla, oppure leggere un testo scritto. Tutto ciò avviene nel sensorium. Accade anche che l'immaginazione attiva liberi tutto ciò e lo trasferisca in qualche cosa di analogo, oppure in qualche cosa di opposto. Se accade in sogno, occorrerà una interpretazione (ta'bîr). Se ciò accade nello stato di veglia, occorrerà un'ermeneutica dei simboli (ta'wîl). La parola "sonno" (khwâb) indica uno stato in cui lo spirito (rûh) si ritira dall'esterno (zâhir, l'essoterico) all'interno (bâtin), l'esoterico.»
E ancora. Nel suo Racconto dell'esilio occidentale (Qissat âlGharbat âlgharbîya) leggiamo: «La notte è la caduta delle pastoie imposte dalle percezioni sensorie. E' la libertà per l'Immaginazione attiva al servizio dell'Intelligenza che l'ispira. Questa notte mistica è dunque, di fatto, l'ora dell'Îshrâq (la Luminosità, l'Illuminazione).» Un anonimo scrittore iraniano così commentò questo passo: « L'autore intende dire qui che durante la notte, grazie al sonno, voi potete salire nel mondo superiore e contemplare le pure forme spirituali, grazie al fatto che, durante il sonno, i sensi sono dismessi dalle loro funzioni e non dominano più. Ma durante il giorno, nello stato di veglia, è impossibile che tu possa fare ciò, a causa della tirannia dei sensi. In altre parole: con la morte si può giungere al mondo degli esseri spirituali puri. Orbene, il sonno è una seconda morte. Il Corano allude a ciò: Dio riceve le anime nel momento della morte, e riceve anche quelle che, senza morire, sono nel sonno (39/49)... Durante il sonno, grazie all'abdicazione dei sensi noi possiamo contemplare qualche cosa del mondo dell'Angelo [...]. Allora sentiamo nostalgia della nostra patria spirituale, poiché anche noi apparteniamo a quel mondo.»
Concluderò con il massimo poeta sufi, Jalâl âlDîn Rûmî (1207-1273), detto il san Francesco della gente turca. Dal suo capolavoro, il Mathnawî, il più grande poema mistico dell'umanità tutta (due volte la Divina Commedia) leggiamo: (Volume 4°, 425-429) «La notte, in ogni casa c’è una lampada affinché quelli che vi abitano possano essere salvaguardati dall’oscurità. /Quella lampada è come questo corpo, la sua luce è come la psiche; le occorre uno stoppino, e questo, e quello; / La lampada che possiede sei stoppini, ossia i sensi [i cinque sensi, più il “senso comune”, il hiss-i mushtarak], è basata interamente sul sonno e sul cibo. / Senza cibo e senza sonno, non vivrebbe neppure un momento; e persino col cibo e col sonno non vive. /Senza stoppino e senza olio, non dura, e con uno stoppino e dell’olio è altrettanto effimera.»

I sogni nella tradizione indiana: dal Tibet ai Veda

Nelle cosiddette mistiche superiori, riscontriamo che in uno dei più vecchi testi della tradizione induista, come le Upanishad, sia fatto specifico riferimento alla condizione di sonno-sogno, attraverso cui l’essere si trasferisce dal mondo manifesto a quello immanifesto o dei piani ultrasottili.

Degno di attenzione quanto espresso nella “Brihad-Aranyaka Upanishad” a proposito dello stato di sonno-sogno:

- Ajatasatru disse: "Quando un uomo si addormenta così, la persona fatta di coscienza raccoglie la coscienza di tutti i sensi e si ritira nello spazio all’interno del cuore. Quando i sensi sono così trattenuti si dice che l’uomo è addormentato. Allora il respiro è trattenuto. La voce è trattenuta. L’occhio è trattenuto. L’orecchio è trattenuto. La mente è trattenuta. Quando si addormenta, questi mondi sono suoi. Allora diventa un grande re, portando con sé la sua gente, si muove a proprio piacimento nel suo regno, così la persona fatta di coscienza, portando con sé i sensi, si muove a proprio piacimento nel corpo. Quando si entra nel sonno profondo, in cui non c’è più coscienza di nulla, la persona fatta di coscienza esce attraverso i 72.000 canali che dal cuore conducono al pericardio e ivi si riposa. Si riposa come un giovane, o come un grande re, o come un bramino che ha raggiunto il culmine della beatitudine. Come un ragno secerne la sua tela, come le scintille sprizzano dal fuoco, così da questo Sé emergono tutti i soffi vitali, tutti i mondi, tutti gli déi, tutti gli esseri. Il suo significato mistico è “la Realtà della Realtà”. In verità, i soffi vitali sono la realtà. Esso è la loro Realtà."

Da millenni appunto, nell’Induismo, nel Buddismo, nel Taoismo e nelle culture tradizionali di tutto il mondo è stata dimostrata l’esistenza di una classe di esperienze oniriche che hanno favorito l’evoluzione del progresso culturale e religioso dell’umanità. Sempre da tempi molto antichi, inoltre, sono ben documentate sia la possibilità di sviluppare la consapevolezza del sogno, per ottenere esperienze profonde e ispirazione, sia la capacità di controllare il sogno stesso.

Storicamente la filosofia buddhista ha assunto nei Paesi in cui si è diffusa caratteristiche particolari, poiché ne ha riassorbito il sostrato spirituale e ha utilizzato «le forme esterne delle fedi locali per rendere più facile il passaggio ai concetti buddhisti». Questo è quanto è successo anche in Tibet, dove il Buddhismo ha integrato molte credenze e usanze del Bön, l’antichissima forma autoctona di sciamanismo secondo cui nel sogno è possibile ricevere insegnamenti fondamentali. Infatti, i maestri che hanno sviluppato l’alta dote di permanere nella coscienza e vantano una lucidità oggettiva e superiore, possono accedere al gong-ter, ossia al ‘tesoro della mente’, che è nascosto negli abissi dell’essere e appartiene all’Umanità. Il procedimento si realizza nel corso del rito chöd (‘recidere’), una pratica visionaria che concerne il Bön e che si rifà al concetto di smembramento tipico della tradizione sciamanica. La funzione della cerimonia è il conseguimento del distacco dal corpo e la totale offerta di sé al prossimo. La tradizione vuole che il chöd sia stato fatto conoscere al Maestro Tongjung Thuchen proprio nei suoi sogni, affinché potesse poi trasmetterlo. Durante il rito l’adepto, solo in un luogo macabro di montagna, danza:

[…] identificando le sue passioni e i suoi desideri con il suo corpo, lo offre in banchetto alle Dakini. In seguito lo visualizza come un «cadavere grasso e succulento» di vaste dimensioni e, ritirandosi mentalmente da esso, contempla la Dea Vajra-yogini che ne recide la testa, trasformando il cranio in un calderone gigantesco nel quale getta grossi pezzi delle sue ossa e brandelli della sua carne. Quindi, mediante le parole di potere, l’adepto tramuta l’intera offerta in amrita (‘nettare’) e invita i diversi esseri soprannaturali a divorarla.

Il Buddhismo tibetano è definito lamaismo per l’importanza che storicamente assume nella sua tradizione la figura del Lama, ‘Maestro’. Il lamaismo prevede infatti una struttura fortemente gerarchizzata e teocratica in cui il potere anche politico spetterebbe al Dalai Lama, ‘Maestro che è oceano di saggezza’, e il potere spirituale al Pan c’en-Lama. Secondo le antiche consuetudini il primo risiedeva nel convento Potala a Lhasa, il secondo dimorava nel monastero di Tashi Lhumpo. Ai due Lama seguono nell’ordine gerarchico 180 Hutuktu, ritenuti incarnazioni di bodhisattva. Alla morte del Lama, gli alti religiosi si mettono alla ricerca di un bambino che, secondo il loro giudizio e in base all’accadimento di eventi straordinari, risulta essere la reincarnazione in cui si è rifugiata l’anima del defunto. Infatti, nel caso in cui le previste prove di accertamento confermino la legittimità della scelta, il piccolo individuato occupa il posto del Lama precedente.

Il lamaismo, che predica il culto della naturalezza e dell’assoluta non-violenza, è molto attento all’alternarsi di fasi che costituiscono il Ciclo, l’eterno divenire, e presuppone una riflessione quanto mai semplice sull’uomo. Quali che siano la sua natura, il suo comportamento, il suo ruolo, il suo senso etico o la sua cultura, l’essere umano termina la giornata sempre allo stesso modo: dormendo. Lo stato di sonno per i tibetani rappresenta un’opportunità senza pari nel conseguimento di un livello superiore nella scala dell’evoluzione interiore. Secondo la loro cultura quando l’uomo si addormenta vive un momento di passaggio in cui tutto ciò che conosce di sé si dissolve nel buio per ricomparire in una dimensione diversa, profondamente esoterica, che si palesa attraverso le immagini del sogno.

A tutti è dato sognare, a prescindere dalla capacità di ricordarlo. Per i tibetani la dimensione onirica è un fatto misterico che consente di sviluppare la consapevolezza, fornendo insegnamenti preziosi percepibili in maniera più immediata rispetto allo stato di veglia, poiché nel sogno l’uomo è libero da vincoli, condizionamenti e filtri, estremamente attivi nella quotidianità. Durante il sogno l’uomo contatta un bagaglio di Conoscenza che appartiene all’Umanità e che deriva dal proprio Saggio interiore e dall’esperienza dei Maestri ascesi, presente in lui come una sorta di Dna spirituale e pronto a riemergere.

Il sogno diventa quindi un’occasione irrinunciabile per lavorare su se stessi, data la sua intrinseca qualità di far percepire, o almeno assaporare, la valenza del proprio Sé, a differenza della cosiddetta vita «reale», durante la quale l’uomo vive il limite dell’identificazione con la materia, con le proprie emozioni, con i desideri.

Quindi, in alcuni nasce la necessità della Pratica, ossia della costante applicazione di se stessi al conseguimento dello scopo supremo secondo la spiritualità tibetana: la Liberazione, che, in altri termini, è il ricongiungimento dell’individuo con la Fonte Divina. Sorgono allora, secondo la tradizione, varie tecniche di Yoga meditativo, che portano a una presenza vivida e attenta dell’uomo, che nel sonno è meno afflitto dalle distrazioni abituali. Le tecniche vengono attuate con l’obiettivo di conseguire una continuità dello stato di coscienza, forma di consapevolezza permanente. Quando il praticante consegue un livello di stabilità ed equilibrio in questo senso, lo Yoga del sogno diventa anche preparazione al bardo, quello stadio che si vive nell’intervallo tra la morte e la rinascita, cui è necessario prepararsi durante la vita terrena per potersi liberare con facilità del proprio corpo e passare consapevolmente all’incarnazione successiva:

La pratica della luce naturale riguarda fondamentalmente lo stato che precede il sogno. Ad esempio, una persona si addormenta, e addormentarsi significa che tutti i sensi svaniscono all’interno. Da quel momento c’è un periodo di transizione, di passaggio, fino a che si comincia a sognare. Tale periodo può essere più o meno prolungato. Per alcune persone lo stato del sogno inizia quasi subito non appena ci si addormenta. Ma che cosa significa lo stato di sogno? Significa che la mente riprende a funzionare. Al contrario, il cosiddetto stato o momento della luce naturale non implica il funzionamento della mente. È il periodo che va dal momento in cui ci si addormenta fino a quando la mente riprende a funzionare. Cosa avviene dopo? Inizia quello che è detto il milam bardo (rmi lam bar do), lo ‘stato intermedio del sogno’. Esiste una corrispondenza fra gli stati del sonno e del sogno e le esperienze che si hanno alla morte. Quando una persona muore, prima di tutto i sensi svaniscono. In riferimento agli stati di bardo, si parla del bardo del momento della morte, il chikhai bardo (‘chi kha’i bar do). Durante questo periodo il morente ha molte sensazioni legate alla graduale scomparsa o perdita delle funzioni dei sensi. Quindi, sopraggiunge uno stato di incoscienza, simile a uno svenimento, e a questo punto inizia la manifestazione delle quattro luci. […] In realtà è come se si fosse svenuti e, con il sorgere delle luci, la coscienza inizia a risvegliarsi molto lentamente.

Secondo la cultura tibetana l’uomo comune è un essere imbrigliato nelle trame del Samsara, il regno della sofferenza causata dall’ignoranza e dalla visione duale. La visione duale appartiene all’essere umano da quando la mente logica ha cominciato a operare delle distinzioni, rompendo l’idea di Unità per cui ogni cosa è parte del Tutto e cominciando a creare il concetto di categorie opposte attraverso cui tutti giudicano. Da allora al bello si contrappone il brutto, al bene il male, alla vita la morte. I maestri tibetani insegnano che, a causa di un’identificazione con questo pensiero frazionato, l’uomo è caduto nella trappola di valutare reale la quotidianità, mentre l’unica realtà è quella interiore. E così, come subisce i fatti della vita terrena considerandoli veri, percepisce come vere le immagini della mente che gli si prospettano durante il sogno:

In un sutra Buddha Shakyamuni descrive, mediante l’uso di diverse metafore, il mondo fenomenico da noi generalmente considerato reale. La nostra realtà viene paragonata a una stella cadente, a un’illusione ottica, alla fiamma tremolante di una lampada, alle gocce di rugiada all’alba, alle bolle d’acqua, al fulmine, a un sogno e alle nuvole. Secondo il Buddha, tutta l’esistenza, tutti i dharma e in pratica tutti i fenomeni sono assolutamente irreali e soggetti a repentino mutamento come gli esempi appena menzionati. Un altro sutra utilizza ulteriori immagini poetiche per mostrare la natura irreale della nostra condizione di esistenza. Queste includono il riflesso della Luna nell’acqua, un miraggio, una città fatta di suoni, un arcobaleno, il riflesso in uno specchio e ancora una volta un sogno.

La Pratica è la possibilità di affrancarsi dall’ignoranza e dalla visione duale, e la Liberazione comporta il conseguimento del Nirvana, stato di unitarietà proprio dell’Illuminazione, che implica una beatitudine indefinibile. L’uomo che osserva oggettivamente il suo modo di affrontare le esperienze della vita sa già come affronterà il viaggio post mortem e, soprattutto, se è realmente sveglio o se ancora conduce un’esistenza da addormentato. Saper sviluppare una capacità di attenzione nel sogno comporterà, invece, la possibilità di vivere attivamente il proprio bardo.

Nell’ambito della tradizione tibetana il concetto di ignoranza è un punto cardine per la comprensione di un eventuale percorso spirituale. Ogni esperienza della vita, inclusi i sogni, sorge proprio dall’ignoranza, cioè dall’innata incapacità di comprendere la natura propria e quella del mondo. È infatti l’incapacità di percepire l’oggetto in maniera integrale e obiettiva a rendere l’uomo vittima della visione duale, e il sogno, illusione indispensabile alla crescita così come la vita terrena, è lo spazio in cui con nitidezza si possono identificare e vivere le proprie contraddizioni e discriminazioni basate sui concetti di piacere e di volere:

La tradizione tibetana distingue tra due tipi di ignoranza: quella innata e quella culturale. L’ignoranza innata è la base del Samsara, la caratteristica che definisce gli esseri ordinari. È ignoranza della nostra vera natura e della vera natura del mondo e ci fa cadere prigionieri delle illusioni della mente dualistica. Il dualismo reifica polarità e dicotomie. Divide l’unità inscindibile dell’esperienza in questo e quello, giusto e sbagliato, tu e io. Basandoci su queste divisioni concettuali, sviluppiamo preferenze che si manifestano come attaccamento e avversione, le risposte abituali che formano la maggior parte di ciò che identifichiamo come noi stessi. […] Esiste un altro tipo di ignoranza che è condizionata culturalmente. Sorge quando desideri e avversioni vengono istituzionalizzati in una cultura e codificati in sistemi di valori. […] I diversi credo nascono dai pregiudizi e dalle credenze che sono parte delle varie culture, non della saggezza fondamentale.

La visione duale caratterizza l’esistenza sino al momento dell’Illuminazione ed è la madre di tutte le emozioni negative. Queste ultime sono alla base dell’agire e costituiscono il karma individuale. Questa legge non risparmia il mondo onirico, in cui si manifestano evidenti tracce karmiche. L’uomo riceve inconsapevolmente degli input dalla quotidianità che lo inducono a reagire anche all’interno del sogno.

Ecco quanto sostiene Tenzin Wangyal Rinpoche:

Qualsiasi reazione a qualsiasi situazione, esterna o interna, da svegli o in sogno, che abbia le sue radici nell’attaccamento o nell’avversione, lascia una traccia nella mente. Man mano che il karma detta le reazioni, esse a loro volta gettano ulteriori semi karmici, che dettano altre reazioni, e così via. Così il karma produce altro karma. È la ruota del Samsara, il ciclo senza fine di azione e reazione.

Il ricordo di ogni esperienza è un’immagine che l’uomo imprime a fuoco in sé e serba in quel grande bagaglio personale che è l’inconscio. Secondo l’insegnamento tibetano, le forti emozioni rievocano immagini che diventano il simbolo delle varie tracce karmiche. Il sogno è la narrazione analogica delle immagini rielaborate dalla coscienza, che ha la funzione di portare la luce sugli oggetti smarriti o nascosti nella parte più recondita del Sé.

Lo Yoga del sogno parte dal presupposto di comprendere il karma per poter reagire in maniera positiva alle esperienze di cui finalmente si comprende la dinamica spirituale. Non è una pratica che si prefigge la manipolazione dell’inconscio, ma un affinamento della capacità di introspezione in vista di un ampliamento della consapevolezza, affinché l’osservante diventi cosciente che ogni situazione è opportunità di crescita:

Nel sogno le tracce karmiche si manifestano nella coscienza prive dei legami della mente concettuale, attraverso cui così spesso razionalizziamo una sensazione o una fuggevole immagine mentale, allontanandola. Possiamo pensare a questo processo nei seguenti termini: durante il giorno, la coscienza illumina i sensi e sperimentiamo il mondo, intessendo esperienze sensoriali e psichiche all’interno del complesso significativo della nostra vita. Di notte, la coscienza si ritira dai sensi e risiede nella base. Se abbiamo sviluppato una forte pratica della presenza, con una grande espe rienza della natura vuota e luminosa della mente, allora saremo coscienti di questa pura, lucida consapevolezza e presenti in essa. Ma, per la maggior parte di noi, la coscienza illumina gli oscuramenti, le tracce karmiche, e queste si manifestano come sogni.

Secondo la visione yogica l’esercizio consente al praticante di bruciare i semi karmici che condizionerebbero il suo futuro. Quando si manifestano per la prima volta durante un episodio onirico, in una fase di chiara luce, l’uomo, libero da condizionamenti, può affrontarli e risolverli prima che attecchiscano nella quotidianità. Ciò avviene nello stato che i tibetani definiscono rigpa, letteralmente ‘coscienza innata’, ossia uno stato di piena consapevolezza in cui si recupera la visione non duale. Se il praticante non è ancora in grado di sperimentare questa condizione, può comunque lavorare sui sogni attivando in essi comportamenti positivi e spirituali, finché non sarà pronto ad abbandonare la visione degli opposti che implica distinzioni e predilezioni. Quando la coscienza sarà totalmente libera dai tratti bui e dai residui karmici che sono la radice dei sogni, potrà vivere incondizionatamente pura, nella Luce. Allora non ci sarà più necessità di sognare e si conseguirà l’Illuminazione, lo stato supremo che non a caso suole anche definirsi Risveglio.

Esistono tre tipi di sogno:

– I sogni samsarici. Sono quelli ordinari, che traggono origine dalle tracce karmiche. La loro rilevanza è connessa al sognatore, che attribuirà loro un significato la cui valenza è strettamente personale: infatti, lo stesso sogno prodotto da un’altra mente avrebbe interpretazione e senso diversi, così come una stessa esperienza nella quotidianità segna due persone in maniera differente, a seconda delle loro peculiarità.

– I sogni della chiarezza. Costituiscono palesemente un gradino superiore nella scala evolutiva del praticante. Sono meno soggetti ai condizionamenti karmici e sono il premio per un’acquisita capacità del sognatore di mantenere attenzione nel sogno spingendosi oltre il limite della visione duale. Non sono più un’esperienza meramente personale, in quanto il sognatore può rintracciarvi insegnamenti ed elementi in genere appartenenti alla Conoscenza oggettiva. Se i sogni samsarici, che si connotano come semplice espressione del nostro vissuto quotidiano, sono semplicemente illusione, i sogni della chiarezza si avvicinano notevolmente alla purezza. Sebbene possa occasionalmente succedere anche a una persona comune di fare sogni appartenenti a questa categoria, è naturale che essi appartengano abitualmente a individui evoluti che praticano costantemente.

– I sogni della chiara luce. Sono i sogni più elevati che si manifestano soltanto al praticante evoluto, in grado di mantenere una condizione di mente pura. Sono per colui, cioè, che sa vivere il rigpa nella quotidianità così come nel sogno. Questo particolare stato di coscienza non è, come molti intendono, l’assenza di pensieri, ma la capacità di non attaccarsi e identificarsi con essi, lasciandoli nascere e svanire nella più totale naturalezza oltre i limiti di ogni connotazione e di ogni dualità.

Il primo tipo di sogni deriva dall’esperienza e dalle emozioni, i secondi dalla coscienza, i terzi non sono più una vicenda individuale in cui si distingue il sogno dal sognatore, il significante dal significato, ma rappresentano esclusivamente un’attività della mente nei confronti della quale il praticante mantiene un atteggiamento di osservazione, data l’ormai conseguita capacità di ripartire la propria attenzione.

La funzione del sogno per i mistici tibetani è, dunque, evidente: è un insostituibile indicatore nella pratica spirituale. Fornisce le motivazioni per entrare nel cammino, rivela il grado evolutivo del praticante e la corretta esecuzione della Pratica. Un vero Maestro usa i sogni degli allievi per comprenderli e percepire il giusto momento per l’assegnazione di un nuovo compito, altrimenti verifica tramite l’attività onirica se i discepoli stanno davvero lavorando su di sé.

L’insegnamento del Dzogchen è molto interessato alle esperienze del sogno e a tutti i fenomeni ad esso correlati nonché la prescienza (preveggenza). Alcuni metodi, tra cui anche lo “Yoga del sogno” sono impiegati per sviluppare una maggiore consapevolezza allo scopo ultimo di conseguire la liberazione.

Secondo l’insegnamento Dzogchen i sogni possono essere raggruppati in due categorie: i sogni di tipo più comune, causati dalle tracce karmiche - “sogni karmici” - e i sogni che rilevano un’opportunità di accesso alla dimensione spirituale - “sogni di chiarezza”.

I sogni di tipo karmico possono risalire ad una vita passata, alla giovinezza e al passato più recente della persona.

Nella tradizione della medicina tibetana, un medico che indaga le origini di una malattia considererà anche a quale di questi tre stati di esistenza si riferiscono i sogni del malato. A volte, se una persona è affetta da una grave malattia molto difficile da curare, ciò può essere dovuto a cause karmiche risalenti all’infanzia, o persino a una vita passata; ma, una malattia può anche scaturire da una causa karmica maturata in base ad azioni recenti. Perciò, in questi casi, l’esame dei sogni è uno dei mezzi più importanti per analizzare e individuare le cause primarie e secondarie del problema.

Nei sogni condizionati dalle tracce karmiche, possono apparire cose sconosciute delle quali non si è avuta esperienza in questa vita, come visioni di altri paesi, o di gente dalle usanze e dalla lingua ignote.

Per alcuni individui, i “sogni di chiarezza” sorgono spontaneamente dalla limpidezza della mente, senza la necessità di applicare metodi secondari per rilassare il corpo, o controllare l’energia.

Lo “Yoga del sogno” riguarda fondamentalmente lo stato che precede il sogno. Se siete persone di natura agitata, prima di andare a letto potete fare alcuni esercizi di respirazione profonda per regolare il flusso del respiro e calmarvi. Quindi concentratevi sulla lettera -A-, immaginandola di colore bianco, in modo che, visualizzandola automaticamente, riconosciate il suo suono. Questo simbolo rappresenta l’unificazione dello stato di coscienza di tutti i vostri maestri.

Se non riuscite a concentrare e a visualizzare questa lettera, il problema può essere che non siate in grado di ; in questo caso, scrivete una -A- su un foglio di carta, ponetela di fronte a voi e fissatela un po’. Quindi, chiudete gli occhi, e questa -A- apparirà immediatamente alla vostra mente. Cercate di rilassarvi senza mai abbandonare la -A- sino a che non ci si addormenta.

Con questa visualizzazione si utilizza l’attività mentale allo scopo di raggiungere, infine, uno stato che trascende la mente. E’ ugualmente molto importante ricordare la pratica della -A- bianca nel momento in cui vi svegliate al mattino.

Se possibile, intonate subito il suono -AAAA-. Se non potete farlo perché qualcuno dorme accanto a voi, è sufficiente esalare il respiro con il suono -AAAAA- in modo da potervi udire e sentire la presenza della -A- bianca. Ricordando la -A- bianca al mattino e poi concentrandola di nuovo alla sera, si viene a creare una specie di connessione, o continuità di presenza.

La visualizzazione della -A- nella gola, è particolarmente adatta per ricordare i sogni, e ha la specifica funzione di controllare l’energia e la chiarezza. Quando si visualizza la -A- bianca nel cuore, si lavora nel principio della luce naturale.

Se avete avuto una giornata particolarmente faticosa e, tornati a casa, vi è rimasta solo l’energia per mangiare e andare a letto, cadrete in un sonno pesante, e molto difficilmente si manifesteranno sogni di chiarezza. A causa del sonno pesante, inoltre, potrà risultare difficile persino ricordare i sogni. Tuttavia, avvicinandosi all’alba, appena prima del risveglio, i vostri sogni possono diventare più chiari.

Un sogno associato alla chiarezza può avere un significato particolare per il sognatore. Può indicare molte cose.

Quando si sviluppa la chiarezza è molto facile avere particolari manifestazioni durante il sogno, come per esempio scoprire qualcosa riguardante il futuro.

I sogni di chiarezza sono legati alla nostra saggezza innata, ai semi karmici che abbiamo prodotto attraverso l’esperienza della meditazione e alle azioni positive svolte anche nella nostra attività quotidiana. Vi sono altri sogni legati alla chiarezza nei quali è possibile fare molte cose, come studiare, leggere, o apprendere. Una persona che riceve una “trasmissione”, anche se in quel momento non ha la capacità di comprendere, in futuro prima o poi scoprirà il significato dell’insegnamento.

I sogni, in conclusione, sono parte della nostra vita. Nella vita abbiamo il giorno e la notte. Di notte abbiamo confusione nei sogni; di giorno abbiamo confusione nella mente; giudichiamo, pensiamo, creiamo tante cose. Mantenere la consapevolezza nello stato del sogno, significa continuare la stessa presenza che abbiamo durante il giorno, e, con la pratica, farla progredire.

Ritornerà così ad essere unica la relazione originaria all'interno dell'individuo, o lo stato della relazione fra il maschile e il femminile, soggetto e oggetto, luce e ombra, verità e amore.

mercoledì 15 febbraio 2012

Nell'antica civiltà babilonese.. Ishtar

Difficile dire e raccontare con precisione cosa rappresentavano i sogni nella civiltà assiro-babilonese, quella che abbiamo conosciuto con il termine mesopotamia è un crogiolo o, meglio, una crocevia di leggende, religioni, miti ecc.. Abbiamo l'unica possibilità di rifarci con certezza alla loro Dea più importante, ovvero Ishtar.
Ishtar la Grande Madre è nuda, poiché la Verità non ha bisogno di coprirsi di veli.
Sul suo capo spicca l'emblema lunare. Nella mano destra Ishtar ha una coppa, simbolo di gioia e abbondanza perché contiene il nettare della Vita.
Nella sinistra, un loto, fiore che nasce sott'acqua ma che diventa di purezza ineguagliabile una volta sbocciato alla superficie. Il significato è dunque chiaro e fedele all'assioma del vero magista: "Ex tenebris ad Lucem...".
Ishtar è una personificazione di quella forza della natura che rivela se stessa come colei che dà e toglie la vita. Essa è la Madre di Tutti.
Porta gli appellativi di Argentea, Produttrice di Semi, e Gravida. la dea della fertilità, dalla quale proviene il potere della riproduzione e della crescita per i prodotti dei campi, tutti gli animali e l’uomo.
Per una naturale transizione essa divenne la dea dell’amore sessuale e la protettrice delle prostitute.
Esso è Colei che Apre l’Utero, il principale rifugio delle madri nelle doglie del parto. Perciò tutta la vita emana da lei; piante, animali, esseri umani sono suoi figli.

Ma Ishtar possiede un carattere duplice. Non è soltanto la dispensatrice della vita ma anche la distruttrice Come la luna, nel suo periodo crescente tutte le cose si sviluppano, e nella sua fase calante tutte le cose «sono diminuite e rese infime».
Ma questa non è la fine, la luna crescente ritorna di nuovo. La luce subentra all’oscurità anche quando l’oscurità vince la luce. La Dea della Luna appare ancora una volta nella sua fase creativa e benefica. Ishtar, “la via, la vita, la salvezza degli uomini e degli dei; e tuttavia la medesima che è rovina, morte, e distruzione”.

Era la Dea dei Terrori Notturni, la Madre Terrificante, dea delle tempeste e della guerra.
Era anche colei che inviava i sogni e i presagi, la rivelazíone e la comprensione delle cose che sono nascoste.
Era per mezzo della sua magía che gli uomini ottenevano potere e conoscenza, spesso conoscenza illecita, delle cose segrete e nascoste la cui comprensione reca di per sé il potere.
Ishtar intraprendeva il pericoloso viaggio negli inferi e, sebbene piena di dolori, vinceva alla fine l’oscurità e sorgeva di nuovo come luna nuova, piccola all’inizio ma con il potere di ricreare se stessa.
Perciò, come Sinn, che la precedette, e come Osiride degli Egiziani, diventò la Dea dell’Immortalità, la speranza della vita dopo la morte.
Nelle sue forme continuamente mutevoli essa interpreta tutti i possibili ruoli femminili. È chiamata figlia e sorella del dio lunare, il quale nello stesso tempo è anche suo figlio.
È la Donna, la personificazione, come direbbero i Cinesi, di yin, il principio femminile, l’Eros.
Per le donne è il principio stesso del loro essere; per gli uomini la mediatrice tra se stessi e la fonte segreta della vita nascosta nelle profondità dellInconscio.

I Sogni nell'antico Egitto parte 2

Il riscontro più antico che abbiamo, ragionando di sogni e della loro interpretazione, risale a circa 4000 anni fa, si tratta del “ Libro dei sogni ieratico” che fu scritto in Egitto nel 2052-1778 A.C. in caratteri ieratici (geroglifici corsivi). E’ una specie di dizionario dei sogni, un’opera pensata per la consultazione veloce in cui sono affrontate e spiegate le immagini che appaiono più di frequente in sogno.

Ogni riga di questo testo inizia con le le parole: Se una persona vede in sogno…. e l’opera parte dal parte dal presupposto che i sogni siano da dividersi in due grandi gruppi, quelli delle persone buone (protette dal Dio Horus) e quelli delle persone cattive (protette da Seth) e che, data la sacralità del linguaggio in Egitto, ogni temine o concordanza fonetica presente in sogno non fosse casuale, ma indicasse di un possibile, probabile significato.

L’idea di fondo era che il sogno servisse per comunicare con il mondo dei defunti o con le divinità, ma già allora si considerava che le immagini potessero nascere come conseguenza di uno stato particolare del sognatore, di una condizione che egli stava vivendo, e alcune affermazioni in esso contenute, riflettono questa convinzione: “I sogni sono comprensibili solo se si prendono in considerazione le circostanze della vita, il tipo fisico e il carattere del sognante”

L’importanza attribuita ai sogni in questo periodo storico è espressa nel dialogo fra la Dea Iside e Horus: “Horus, figlio mio, dimmi cosa hai visto affinchè le tue sofferenze possano dileguarsi attraverso i tuoi sogni”.

Risalgono invece al I secolo D.C. i due “Libri dei sogni demotici” che sono purtroppo giunti a noi in forma frammentaria e che si concentrano quasi esclusivamente sul sogno femminile, di contenuto sessuale ed in rapporto con gli animali.

Queste antiche testimonianze, frutto di una cultura millenaria, sono sorprendenti per alcuni temi di innegabile modernità come il considerare i sogni formati da immagini e simboli che denunciano pensieri e sentimenti nel sognatore, considerarli utili solo a chi li comprende, analizzarne i giochi di parole e le analogie fonetiche, prenderne in considerazione i contenuti sessuali.

Ma gli assunti di fondo che dominano l’onirologia egiziana sono in grande parte espressione della fede nell’aldilà e nei sogni come collegamento primario con questo. Come il sole si “immerge nella notte” l’uomo, col l’arrivo del sonno, si immerge nell’aldilà per emergerne temprato al mattino, questa la visione comune. Ed i sogni, in questa prospettiva, erano il linguaggio di questo territorio misterioso che il sognatore aveva la possibilità di riportare con se’ per essere guidato di giorno.

I sogni contenevano profezie per il futuro e notizie dei defunti, quelli dei sovrani configuravano anche le vicende politiche, contenevano verità e saggezza ed erano la voce degli Dei che si rivelava solo all’intelligenza dell’esperto.

L’interpretazione dei sogni era infatti considerata una vera e propria scienza che meritava il rispetto riservato alla medicina ed alla magia e che prevedeva un’ accurata preparazione, un corso di studi della durata di più anni nella “Casa della vita” una vera e propria istituzione culturale adibita a laboratorio degli scribi, una sorta di Università dei tempi.

Anche i sacerdoti del tempio di Serapide a Kanobos si guadagnavano da vivere soprattutto con i consulti onirici, interpretando i sogni inviati dagli Dei ai mortali, e con la “medicina onirica”, l’analisi specifica del sogno il cui fine era la cura e la guarigione del corpo attraverso l’ascolto e la comprensione del sogni e che rimase ampiamente praticata in tutto il mondo antico.

Poi arrivò Morfeo..

Uno dei tanti figli di Ipno e di Notte (Nyx), possiede grandi e possenti ali che lo portano rapidamente da una parte all'altra della terra. E' il dio dei sogni, che provoca sfiorando un mazzo di papaveri sulle palpebre di chi dorme.
Spesso è accompagnato da una cerchia di folletti che rappresentano le illusioni. Il suo nome deriva da una parola greca che significa "forma": infatti era solito assumere la forma degli esseri umani per mostrarsi agli uomini addormentati durante i loro sogni.

L'idea di una divinità dei sogni, Morfeo, viene generalmente attribuita ad Ovidio, che diede un nome ai tre figli di Ipno (il sonno): Morfeo, Phobetor (Fobetore) e Phantasos (Fantaso).
Morfeo inviava i sogni popolati da forme umane. Gli altri due, rispettivamente, quelli con animali e quelli con gli oggetti inanimati .

In principio era Hermes

Figlio di Zeus e Maia creò, fin dalla più tenera età qualche problemino. Ancora in fasce, infatti, rubò 50 Giovenche della mandria di Apollo e le nascose così bene che nessuno riuscì più a ritrovarle. Durante il furto trovò una tartaruga che uccise e aprì per creare la prima lira. Strumento che lo salvò dalla punizione di Apollo per avergli rubato la mandria. Apollo infatti restò affascinato dalla lira e rinunciò a punirlo in cambio dello strumento.


Ermes con Dionisio, opera di Prassitele (conservato al museo di Olimpia)

Zeus , divertito dall'abilità e dalla furbizia del piccolo decise di farlo divenire il suo araldo e ambasciatore personale, accompagnatore dei morti nell'Ade, oltre che protettore dei...ladri!

Suoi simboli sono la verga d'oro intrecciata con due serpenti, simbolo dell'astuzia e regalo di Apollo, e i sandali alati, simbolo della sua rapidità.

E' il Dio delle invenzioni (inventò la lira, le lettere, le cifre, i riti religiosi, ecc.), del commercio, degli inganni, dei ladri, delle strade, dei pascoli e dei sogni.

Ebbe diverse relazioni amorose tra cui una con Afrodite, da cui nacque Ermafrodito, con Penelope da cui ebbe Pan e con Eupolomia, che diede alla luce Etalide.

domenica 5 febbraio 2012

Il dio del sonno: Hypnos

Nella mitologia greca, Hypnos era il dio del sonno, conosciuto nei Romani sotto il nome di Somnus. Figlio di Nyx, la notte, era anche, secondo l'Iliade, il fratello gemello di Tànato o Thanatos, dio che personificava la morte. Secondo Esiodo, viveva nelle terre sconosciute dell'ovest, mentre secondo Omero, abitava Lemnos. Gli scoliasti (commentatori antichi) di Omero si sono interrogati riguardo a ciò. Secondo alcuni, i Lemnieni apprezzavano molto il vino, quindi accoglievano Hypnos con piacere. Secondo altri, il dio era innamorato di Pasitea, una delle tre Grazie, che abitava in questa città.

Hypnos aveva il potere di addormentare tanto gli uomini che gli dei. Era considerato benevolo ed ero attorniato dai Sogni. Nel canto XIV dell'Iliade, Era gli chiese di addormentare Zeus, affinché Poseidone potesse aiutare i greci, nonostante il divieto del padrone dell’Olimpo. Hypnos ammise che poteva addormentare tutti gli dei e ricordò anche che aveva già, precedentemente, addormentato Zeus in modo che Era potesse vendicarsi e far morire Eracle, ma al suo risveglio il Signore degli Dei infuriato lo fece precipitare in mare. Si salvò grazie all'intervento di sua madre. In questo secondo caso Era promise di dargli la mano di Pasitea ed Hypnos si lasciò convincere; si trasformò in un uccello e, ancora una volta, addormentò Zeus.

Il dio del sonno ebbe molti figli, tra i quali Morfeo, Momo, Icelo, Fobetore e Fantaso. Era considerato benevolo ed ero attorniato dai Sogni.
Hypnos diede ad Endimione la facoltà di dormire ad occhi aperti. Somnus viene spesso raffigurato come un giovane nudo con le ali sul capo.

Il mito tramandato da Virgilio nell'Eneide vuole che Palinuro, il vecchio nocchiero di Enea, mentre era al timone durante la notte fu raggiunto dal dio Sonno disceso dall'Olimpo nelle sembianze dell’amico Forbante. Poiché il mare era calmo il dio tentò di persuaderlo a riposare in quanto la nave avrebbe mantenuto la rotta anche senza guida.
"Che bella notte" disse il Sonno, simile a Forbante.
"Che bella notte, o Palinuro. Non sei stanco?" Palinuro sorridendo rispose:
"Tengo stretto il timone, questa calma non mi rassicura, ci sono troppe stelle e c'è qualcosa di inquietante che striscia sul mare".
"Non preoccuparti" disse il Sonno "Riposa un poco, lascia a me il timone, che ti sono amico. Tutti dormono, perché soltanto tu devi vegliare?"
Nell''animo di Palinuro si insinuò la rabbia. Rabbia ed invidia per il grande Enea che dormiva sicuro.
"lo non ho sonno" rispose Palinuro; ma già le membra divenivano pesanti. Palinuro pensò: "Non debbo dormire, sento un inganno. Se io dormo forse Enea... ".
"Non mi fido del mare questa notte" disse ad alta voce e si avvicinò al timone. Il falso amico alzò una mano dalle dita divine e una rugiada leggerissima cadde sugli occhi di Palinuro il quale, stringendo a sé la barra, lentamente chiuse gli occhi vittima di un sonno irresistibile. Strinse a sé il timone con tutte le sue forze ma il dio lo scaraventò in mare con una forte spinta. Pur se addormentato Palinuro non lasciò il timone che si spezzò precipitando con lui. Con un rumore lieve Palinuro entrò nell'onde. Si destò solo nel mare, lontano la nera sagoma delle navi. Palinuro lentamente cominciò a nuotare, pensando alla flotta senza guida. Ad Enea disteso nell'ombra a riposare lanciò un grido:
"Destati, Enea, destati! Lascia i tuoi sogni. Il tuo amico Palinuro è perduto".
Per tre notti egli fu trascinato dalle onde. All'alba del quarto giorno un'onda gigantesca lo scaraventò sulla costa, nei pressi della città greca di Elea (Velia per i latini). Appena toccò terra, genti ostili lo uccisero.

I sogni nell'antico Egitto

Nell'Antico Egitto si prestava particolare attenzione al mondo dei sogni poiché si riteneva che le visioni oniriche fossero la congiunzione dell'uomo con le divinità.

Gli Egiziani credevano che durante il sonno le divinità consegnassero loro un messaggio magico che permettesse all'uomo di conoscere meglio il suo mondo, aiutandolo a risolvere i problemi quotidiani o prendere decisioni, inoltre le visioni notturne potevano anche rivelare eventi futuri o fornire rimedi medicamentosi per curare alcune malattie, quindi si può dire con sicurezza che il confine tra sogni, magia e medicina è molto sottile.

L'attenzione che fu prestata ai sogni ebbe a seconda dei periodi un ruolo diverso, infatti la prima concezione delle visioni oniriche era negativa perché si pensava che durante il sonno l'uomo viaggiasse in luoghi pericolosi entrando in contatto con spiriti maligni che gli potevano recare solo danno, per questo venivano formulati appositi riti magici ed amuleti che proteggessero l'uomo dai brutti sogni.

Il talismano più utilizzato per favorire una buona attività onirica era un poggiatesta, sul quale erano incise formule magiche, veniva utilizzato soprattutto dai soggetti più sensibili, dalle donne incinte ed i bambini.

Il dio Bes, divinità minore appartenente al pantheon egizio, era considerato il tutore della casa e dell'infanzia poiché gli si attribuivano poteri di protezione contro gli spiriti maligni che avrebbero potuto infestare le abitazioni.
Aveva anche altri importanti poteri divini, infatti Bes era invocato per attenuare i dolori del parto, per guarire da alcune malattie e veniva rappresentato, nella sua forma di nano deforme e paffuto, sopra le testate dei letti per proteggere il proprietario dagli influssi maligni presenti nei sogni favorendo quindi una buona attività onirica.

Secondo gli antichi egizi i sogni buoni erano collegati direttamente dal dio Horus, al contrario i brutti sogni provenivano dal malvagio dio Seth ma per questi ultimi c'era sempre una formula magica che avrebbe protetto chi aveva fatto un cattivo sogno.

Nel Nuovo Regno il ruolo del sogno cambia totalmente diventando un messaggio magico che le divinità donavano all'uomo, considerando che le visioni notturne erano per gli egizi dei messaggi premonitori, si cominciò ad interpretarli istituendo una vera e propria arte divinatoria.
L'interpretazione del sogno era diventato talmente importante che ogni egiziano, sia di umili estrazioni sia un membro della classe d'élite, compreso il faraone, consultava un sacerdote o un indovino per comprendere il significato di un sogno.

Sia gli indovini o oracoli che i sacerdoti interpretavano le visioni notturne, cercando nel sogno la verità e fornendo informazioni su qualsiasi evento della vita come l'amore, il lavoro, la salute o problemi di carattere politico.

Questi indovini erano diventati talmente popolari da godere di una grande considerazione, guadagnavano molto denaro ma assicuravano la veridicità delle previsioni con la loro stessa vita, infatti in caso di evidente sbaglio sull'interpretazione venivano uccisi.

In Egitto, come in quasi tutto il bacino del Mediterraneo, furono costruiti dei templi o santuari, nei quali i fedeli si recavano per andare a cercare le risposte ai propri dubbi, uno tra i più grandi fu edificato nel Serapeo di Menfi.

I santuari vennero chiamati “templi dell'incubazione” dalla pratica che vi si svolgeva, infatti il fedele che accedeva in questo edificio sacro, per poter esser considerato degno di pernottare dentro il tempio, era sottoposto ad un rituale di purificazione. Nei giorni precedenti al pernottamento nel tempio, i sacerdoti ed i fedeli si auto imponevano un regime alimentare molto rigido, sottoponendosi ad una dieta sacra che riusciva a far produrre in loro dei sogni in uno stato di purezza spirituale.

Erano severamente proibiti alcuni cibi, come le fave, i molluschi ed alcuni tipi di pesce, secondo loro alimenti responsabili di far produrre sogni ingannevoli e di diminuire la memoria onirica. Infatti si era notato già in epoca faraonica, che un eccesso di alimenti poteva provocare sogni confusi perché sottoponeva il fisico ad una gran fatica, mentre una dieta bilanciata faceva produrre sogni chiari ed attendibili, notando che le visioni oniriche migliori fossero quelle fatte nelle prime ore del mattino.

La fase finale della pratica dell'incubazione consisteva nel dormire all'interno del tempio, riposando su pelli di animali sacrificati e bruciando un pezzo di lino sopra il quale era scritto il nome della divinità con la quale il fedele cercava di entrare in contatto durante il riposo notturno.

Tra le prime fonti scritte riguardanti i sogni dell'Antico Egitto si trova il Papiro Chester Beatty III scritto in lingua ieratico, oggi conservato al British Museum di Londra fu pubblicato nel 1935 da A.H. Gardiner, è meglio conosciuto come “Il libro dei Sogni”, si può dire che sia un testo di consultazione, un vero e proprio elenco di sogni e le sue interpretazioni.

Riporto alcuni esempi di sogni buoni e relative interpretazioni:

Sognare di..
Vedere un serpente significava avere abbondante cibo.
Mangiare carrube e terra significava avere autorità sui propri concittadini.
Bere birra significava l'arrivo della felicità.
Distruggere i vestiti significava essere liberi da ogni male.
Vedersi morto significava avere una bella vita.
Tuffarsi in un fiume era come essere assolti da ogni peccato.
Segare del legno significava la morte dei nemici.
Mangiare carne di coccodrillo significava diventare funzionari governativi...
Ed ecco poi alcuni dei sogni che indicavano un cattivo presagio:

Sognare di...
Bere birra calda significava avere sofferenze future.
Vedersi in uno specchio significava cambiare moglie.
Sognare un nano significava dimezzare la durata della propria vita.
Mangiare un uovo significava cacciare la moglie dalla casa coniugale.
Vedere persone in lontananza significava la morte di una persona cara...
Un altro libro che interpreta sogni egizi fa parte della collezione Carlsberg ed è il papiro n°309 conosciuto con il nome del “Libro dei sogni del Fayoum” scritto in ieratico fa parte oggi della collezione dell'Istituto di Egittologia di Copenhagen.

Gli egizi erano convinti che alla base dell'interpretazione dei sogni ci fosse l'idea dell'opposto, se durante il riposo notturno si vedeva la propria morte significava l'esatto contrario cioè una vita durevole, invece se si sognava di esser felici veniva interpretato come segno dell'arrivo di imminenti problemi ed infelicità.

Infine nel testo ieratico contenuto nella collezione Carlsberg il papiro n° 6 conosciuto con il nome degli “Insegnamenti del re Merikare” si leggono i suggerimenti che il re Kheti aveva scritto per il figlio Merikare; Kheti descrive la giusta chiave per interpretare i sogni rifacendosi sempre all'idea dell'opposto, cioè il sogno significa sempre l'esatto contrario delle visioni notturne.

I have a dream: il discorso di Martin Luter King

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un "pagherò" del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo "pagherò" permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.

E’ ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo "pagherò" per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: "fondi insufficienti". Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: "Quando vi riterrete soddisfatti?" Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:"Riservato ai bianchi". Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente.

Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente".

mercoledì 1 febbraio 2012

Significati simbolici dei sogni: elementi individuali e universali

Per l'interpretazione dei sogni, è necessario riferirsi al carattere costruttivistico , nel senso che l'individuo possiede capacità creative che gli permettono di orientarsi e di affrontare la vita.
Ciò significa che i simboli onirici sono sempre personali e quindi non si possono stabilire norme rigide per l'interpretazione ma il sogno deve essere messo in relazione ai vari aspetti della personalità dell'individuo.

Esistono comunque degli elementi comuni nei sogni (Ansbacher, 1997):

i sogni di caduta esprimono la paura di perdere prestigio;
i sogni di volare rappresentano l'aspirazione alla superiorità e sono espressione
"di uno stato d'animo di slancio e di coraggio";
i sogni di paralisi sono espressione delle difficoltà nei problemi attuali;
i sogni d'esame possono esprimere o la mancanza di preparazione nell'affrontare un problema o la possibilità di affrontarne un altro;
i sogni di persone morte sono prodotti da chi è ancora sotto l'influenza del defunto;
i sogni sessuali possono mostrare o un'inadeguata preparazione al rapporto sessuale
o un desiderio di ritirarsi dal partner e chiudersi in sé;
i sogni omosessuali rappresentano il rapporto tra i sessi;
i sogni di crudeltà o in cui ci si sporca esprimono rabbia e desiderio di vendetta;
sognare di perdere il treno rappresenta la volontà di evitare una sconfitta temuta arrivando troppo tardi;
sognare di essere visti impropriamente esprime la paura che venga scoperta un'imperfezione;
infine i sogni ricorrenti mostrano un problema ricorrente, fornendo indicazioni chiare sullo stile di vita.

Quando il sogno entra in conflitto con l'auto interpretazione del soggetto nella realtà si può parlare di Complesso di Penelope, alludendo alla distruzione della tela durante la notte.

giovedì 26 gennaio 2012

Cenerentola

I sogni son desideri di felicità | Nel sonno non hai pensieri | Li esprimi con sincerità | Se hai fede chissà che un giorno | La sorte non ti arriderà | Tu sogna e spera fermamente | Dimentica il presente | E il sogno realtà diverrà!