venerdì 2 marzo 2012

I sogni nell'Islam

Nella tradizione islamica l’importanza dei sogni e la pratica oniromantica ebbero uno spazio centrale come pratica divinatoria ed eccelsa attraverso cui Dio poteva comunicare con gli uomini.

L’interpretazione dei sogni e dei simboli era fondamento e tessuto della vita quotidiana e delle regole della dottrina.

Lo stesso Maometto ricevette in un sogno la sua investitura a profeta dall’angelo Gabriele. Questi gli presentò un frammento di broccato su cui erano scritte alcune parole, e gli intimò di leggere.

Nonostante l’ affermazione di “non saper leggere” quelle parole al suo risveglio parevano “impresse nel suo cuore come un ferro rovente” e costituirono l’inizio del Corano. Il seguito gli fu egualmente dettato nei sogni e di sogni e di visioni tutta l’opera è pervasa.

Nella tradizione coranica il sacerdozio come voto esclusivo non è contemplato: non esistono mediazioni tra l’uomo e Dio e Muhammad proibì qualsiasi pratica mantica, poiché nella divinazione rintracciava l’ignoranza e la cecità morale dell’epoca profana, ossia di tutto quello che c’era stato prima del suo avvento. Una sola scienza divinatoria viene risparmiata dalla censura e si guadagna un ruolo da vera protagonista nella spiritualità musulmana: l’oniromantica, ‘ilm al-ta‘bı¯r, ossia l’abilità di interpretare i simboli contenuti nel sogno per trarne auspici o insegnamenti. La scelta ovviamente non è casuale. Per i musulmani il sogno veridico, ru‘ya¯, ha in sé il potere e l’autorevolezza della profezia e consente a Dio di comunicare direttamente con l’uomo.

La stessa vita di Muhammad, infatti, ribadisce la nobiltà del mondo onirico e attribuisce una pregevole rilevanza all’interpretazione: è un sogno che annuncia alla madre la nascita del Profeta, sono i sogni a scandire i momenti salienti della sua esistenza e, ancora, attraverso la loro interpretazione egli riesce a presagire per il bene dei suoi. Per Muhammad e per l’insegnamento coranico la notte è il momento propizio per cogliere la Parola di Dio, mentre il giorno disperde l’attenzione e allontana da sé:

O Inviato, tu che ti avvolgi nel mantello pronto a dormire!
Veglia per almeno la metà
della notte in Preghiera,
recitando i versetti del Libro.
In verità, Noi stiamo per far scendere su di te la Nostra Parola
e le ore della notte sono quelle in cui il cuore
dell’uomo più si apre a Dio,
mentre l’agire del giorno lo distoglie dal pensare a Lui.
Invoca dunque il Nome di Dio a prosternarti in Preghiera.
In verità, Egli è il Padrone dell’Universo, l’Unico e l’Onnipotente.

Il Libro Sacro arrivò a Muhammad per diretta trasmissione divina:

[…] in verità, noi facemmo scendere su di te il Libro della Notte del Destino,
una notte che
è migliore di mille mesi!
In essa scesero dal Cielo, per nostra Volontà, i Nostri Angeli e il Nostro Spirito, a porre nel tuo cuore i Versetti del Libro. E, con ogni Versetto, la Nostra Pace!
Ciò sino allo spuntare dell’alba!

La Tradizione racconta che dai quarant’anni la sua vita fu pervasa di visioni. Nei sogni notturni una fi gura mostruosa, di proporzioni enormi, tanto da arrivare a toccare il cielo con la testa, cercava di afferrarlo. Di giorno udiva provenire da muri, sassi e ventri di animali, voci che lo riconoscevano quale Apostolo di Allah. Muhammad viveva queste esperienze con terrore, temendo di essere impazzito o di essere indemoniato. Una notte la solita figura gli comparve nuovamente in sogno: stringeva tra le mani un broccato su cui era scritto qualcosa e lo obbligò a leggere, nonostante tutte le sue resistenze. Al risveglio quelle parole erano impresse a fuoco sul suo cuore. Per i musulmani su quella stoffa erano stampate le parole che costituiscono l’incipit del Corano. La letteratura sacra non era nuova a questo tipo di storia: nell’ambito cristiano, infatti, si avvaleva già di un simile esempio nel Libro di Ezechiele o nell’Apocalisse di Giovanni, anche questo un testo nato, secondo gli insegnamenti, dal contatto con un’altra dimensione.

Nel Corano, dunque, il sogno e la visione hanno un ruolo indiscutibile e scandiscono i passi salienti del testo. Vi si racconta, tra l’altro, del viaggio che Allah fece compiere al suo Profeta durante la fase onirica:

Sia Lode a Dio, il quale, una notte, fece salire il Suo Inviato dalla Santa Casa alla Casa Celeste, affinché potesse mostrare a voi i Nostri Segni.

I miscredenti non credettero alla veridicità dell’accaduto e il sogno divenne espediente per mettere alla prova la fede. Il sogno, quindi, è anche tentazione (fitna):

Ricorda, Mohammad, di quando ti dicemmo che Dio è costantemente sugli uomini. E la visione che ti mostrammo la ponemmo quale tentazione per essi, allo stesso modo che, nel Libro, vi è l’Albero Maledetto. Noi minacciammo agli uomini i Nostri Castighi, ma ciò accresce solamente la loro miscredenza!

In un’altra occasione, attraverso il sogno, Dio legifera. Egli, che è Onniscente, fa vedere al Profeta ignaro un suo pellegrinaggio verso la Mecca secondo le usanze preislamiche. Egli dovrà realizzare la visione nella veglia, pur paventando una pessima reazione dei Meccani, e il risultato sarà l’introduzione dell’uso del pellegrinaggio alla Santa Moschea nel culto islamico:

Dio renderà concreta la visione da Lui mandata al Suo Inviato, quando gli disse: «Voi entrerete nella Santa Moschea vincitori, dopo esservi rasi il viso e accorciati i capelli e questa è promessa di Dio!» Egli conosce ciò che voi ignorate e ben presto vi concederà la sospirata vittoria!

Attraverso la storia di Abramo e del sacrificio di Isacco, invece, si ribadisce la veridicità del sogno e il suo potere di legare i buoni a Dio. Abramo realizza il contenuto del sogno accingendosi al sacrificio del figlio, che si presta come docile vittima all’avverarsi della volontà di Allah. L’atto volontario è frutto dell’ispirazione divina e diventerà ricompensa stessa della fede:

E noi gli demmo il lieto annuncio di un figlio, il quale crebbe paziente e mite.
Indi gli ordinammo di immolarlo, apparendogli in sogno, per cui Abramo così parlò al ragazzo: «Figlio mio, Dio vuole che io ti sacrifichi a Lui. Che cosa pensi che debba fare?».
Gli rispose il figlio: «Padre, conformati alla Sua Volontà e io sarò per te una docile vittima, nella speranza che Dio mi accolga nel Suo Paradiso, nel giorno del Giudizio».

Ma come Abramo fu sul punto di immolarlo,

Noi lo chiamammo: «Abramo! Fermati! Ora Dio sa che tu sei nel numero dei Credenti e dei Timorati!».

Ma sicuramente all’interno del Corano la storia di sogni e di interpretazioni più rilevante e rappresentati va è quella di Yûsuf, che si incentra fondamentalmente attorno a due sogni significativi: quello delle undici stelle, del Sole e della Luna e l’altro, celeberrimo, del Faraone.

Nel primo caso il sogno, opportunamente compreso dal padre di Yûsuf, rivela al giovane la volontà di Dio di concedergli il dono dell’interpretazione:

Un giorno Giuseppe disse a Giacobbe, suo padre. «Padre mio, ho visto in sogno il Sole, la Luna e undici stelle e tutti si prosternavano davanti a me».
Gli rispose Giacobbe: «Figliolo mio, guardati dal raccontare questo sogno ai tuoi fratelli, affinché essi non abbiano a odiarti per quanto Dio ti riserverà. In verità, Satana è per l’uomo un nemico manifesto ed eccita in lui odio e passioni!
Sappi che Dio ti ha scelto a Suo Inviato ed Egli ti darà la Conoscenza del significato delle Sue Parole».

Nel secondo caso Yûsuf, il Benigno e il Favorito da Dio per ricompensa alla sua fede, legge il sogno del Faraone che è capo della corte idolatra. Per i musulmani solo chi è puro di cuore può interpretare i segni divini. Ciò rende alta dignità alla figura dell’onirocritico. Infatti, poiché Satana può interferire col sogno suscitando invidia nell’animo degli uomini, i sogni vanno raccontati solo a persone buone e compassionevoli:

«Sire, io so chi potrà farvi conoscere il significato del vostro sogno, ma ora si trova in prigione. Andrò da lui ed egli mi svelerà ogni recondito segreto!». Si recò da Giuseppe e gli disse: «Giuseppe, Operatore del bene, dimmi che cosa significano sette vacche grasse mangiate da sette vacche magre e sette spighe verdi vicino a sette spighe secche. Parla affinché io possa riferirlo al Faraone e ai suoi Consiglieri».

In una società religiosa, quindi, in cui l’istituzione del sacerdozio non è contemplata, il sogno diventa il mezzo espressivo per eccellenza con cui Dio si rivolge anche agli uomini comuni, e non solo ai Profeti, concedendo loro una piccola rivelazione, figlia minore della profezia stessa. L’onirocritica islamica trova la sua funzione nell’individuazione del sogno veridico, ru‘ya¯, che proviene da Dio e ha carattere divinatorio. A questo si contrappone un secondo genere di sogno, hulm, che è invece espressione di Satana, la cui natura fastidiosa e molesta ne rivela immediatamente l’origine. Un caso a parte costituiscono i sogni che vengono definiti «grovigli di sterpi», un’interessante denominazione per quelle esperienze oniriche che, secondo l’accezione islamica, sono una manifestazione del limitato pensiero dell’uomo che si ripiega su se stesso, perso nelle sue congetture anche quando dorme, e che nulla hanno a che vedere con la dimensione trascendente.

Secondo l’onirocritica islamica individuare la provenienza del sogno è, tutto sommato, semplice e semplicistico. La discriminazione si basa infatti su due concetti essenziali: il primo di carattere sensibile, ossia un sogno che viene da Dio produce al sognatore sensazioni piacevoli, mentre un sogno demoniaco infligge percezioni sgradevoli che ne sottolineano i contenuti ingannevoli. Il secondo è di matrice etica, per cui più che considerare obiettivamente il contenuto del sogno, si giudica la personalità del sognatore che, se sincero, produrrà sicuramente materiale onirico attendibile.

Ciò trova conferma nello scritto Il giardino dei devoti di Imam an-Nawawi, che riferisce come per Muhammad colui che è il più veritiero nel sogno è anche il più veritiero nel raccontarlo. Nawawi spiega che per i profeti il sogno è una delle quarantasei parti della profezia, definizione che si avvicina in modo impressionante alla tradizione talmudica in cui varia solo l’elemento numerico. Secondo la cultura ebraica il sogno rappresenta la sessantesima parte della profezia, mentre il sonno un sessantesimo della morte. Ma l’accezione del termine profezia non può considerar si nella sua valenza più banale, cioè quella di previsione. La sua valenza è decisamente più esoterica e una chiave di lettura interessante la propone indirettamente Papa Gregorio Magno, il quale sostiene che «è il caso di tener conto che la finalità specifica della profezia non è di predire il futuro, ma di rivelare ciò che è occulto».

Sognare diventa quindi la possibilità stessa di aprirsi alla profezia e di esplorarne le sconfinate vie, la possibilità intrinseca all’uomo di farsi luogo per accogliere Dio attraverso le immagini, Dio che è l’Immagine per eccellenza. Ma, come sentenzia un antico insegnamento islamico, «il sogno è per il primo interprete», ossia appartiene non tanto al sognatore, che ha semplicemente il potere di produrlo, ma a colui che possiede le chiavi per penetrarlo e spiegarlo, tanto da poter innescare quel processo di eventi reali che non potrà più essere arrestato. Infatti, secondo la tradizione musulmana, «il sogno si avvera secondo la sua interpretazione», essendo quest’ultima il fatto reale e non il sogno in sé, che, senza un’adeguata lettura, rimarrebbe esperienza priva di senso. Di qui la necessità di scegliere adeguatamente la persona cui raccontare ciò che si sogna, così come quella di non riferire affatto i propri incubi, che vanno esorcizzati addirittura in maniera fisica, sputando tre volte al suolo, verso sinistra, come vuole il costume popolare, per scacciare il Maligno e rimettersi a Dio.

Ancora una volta i punti di contatto con la tradizione ebraica sono netti. Nel Talmud, infatti, si racconta di Rabbi Bannah che, avendo fatto un sogno, lo portò a interpretare dai ventiquattro onirocritici presenti a Gerusalemme. Ricevette in cambio ventiquattro interpretazioni diverse, eppure il Libro Sacro insegna che nessuna di esse fu falsa, perché tutte si avverarono. È evidente, quindi, che l’onirocritico gestisce un potere infinito, assurgendo de facto al ruolo di tramite tra l’umano e il divino e potendo concreta mente influenzare la vita del prossimo. Per la cultura islamica, e d’altro canto per numerose altre culture, egli è il depositario della verità che risiede nel sogno, nell’ottica in cui sogno e veglia, essendo due stati dell’essere, si equivalgono, sebbene il primo celi in sé la possibilità di accedere a una conoscenza superiore.

C’è un elemento, però, che caratterizza l’interpretazione del sogno nell’Islam, rendendola fondamentalmente fatto religioso e non spirituale e distinguendola dalle culture in cui l’interprete, mosso dall’ispirazione, è libero di perdersi nei meandri della propria particolare sensibilità: la conoscenza pedissequa, addirittura mnemonica, del Corano e delle Tradizioni, dato che ad essi si attinge per poter decodificare la valenza dei simboli onirici.

Sono in linea di massima tre i criteri per svelare il senso dell’elemento sognato: ricordarne, qualora ne esistesse un esempio, l’interpretazione data dal Profeta Muhammad in vita, rifarsi al significato allegorico che gli si riferisce nel Libro Sacro, lavorare sul nome dell’oggetto del sogno attraverso il suo significato, il suo senso opposto o la sua valenza etimologica. A tal proposito, così è riportato nel Ta‘bir al-ru‘ya¯, antichissimo trattato sull’interpretazione del sogno veridico che la tradizione vuole di Muhammad Ibn Sı¯rı¯n, sebbene problemi di datazione non confermino tale attribuzione:

Il sogno si interpreta in relazione ai tempi e ai momenti, talvolta con l’ausilio del Libro di Dio, talvolta delle Tradizioni o dei Proverbi. Può non rivolgersi a colui che sognò ma a chi gli somiglia nell’aspetto o nel nome. Il sogno si interpreta secondo il nome dell’oggetto sognato, considerandone il significato o il contrario o l’etimologia, qualche volta aumentando o qualche volta riducendone il valore.

Interessanti i casi esemplificativi del concetto di interpretazione che fornisce la stessa opera:

Esempi di interpretazione secondo Il Corano sono le uova, che indicano le donne per il versetto «Esse sono come uova celate», oppure la pietra che indica la durezza di cuore per il versetto «I vostri cuori si indurirono e divennero come le pietre». […] Esempi di interpretazione mediante le Tradizioni sulla vita del Profeta sono il corvo e il topo che indicano l’uomo e la donna turpi, perché turpi il Profeta chiamò questi animali, oppure la costola che rappresenta la donna poiché, come disse Muhammad, su di lui siano la preghiera e la pace, la donna fu creata da una costola ricurva. […] Esempi di interpretazione mediante il significato letterale del nome sono i nomi propri: Fadl vuol dire ‘eccellenza’, Ra¯sˇid ‘rettitudine’, Sa¯lim ‘pace’. […] Un esempio di interpretazione per contrario è il pianto che significa gioia purché non sia accompagnato da grida, urla o grande pena del cuore.

Il mu‘abbir, ‘interprete di sogni’, quindi, non è un veggente, come negli usi preislamici. È un dotto e un indottrinato, che si inserisce in un quadro teocratico e che può muoversi in un ambito definito e delimitato: quello della Legge rivelata. E, per non influenzare negativamente la profezia contenuta nel sogno, deve essere irreprensibile da un punto di vista morale, come testimonia la Sura di Giuseppe.

Su esempio del Profeta, l’uomo comune sentì l’esigenza di appropriarsi del linguaggio dei sogni. Sotto tale impulso, il numero degli interpreti aumentò incredibilmente e, quando anche questi non bastarono più ad appagare le necessità onirocritiche, nacque il bisogno di mettere per iscritto i criteri che imbrigliavano l’interpretazione nel quadro dell’insegnamento coranico. Il primo e più importante insegnamento riguarda l’oggetto sognato, inserito in una gerarchia che chiaramente prevede al primo posto Dio. Seguono per importanza, in maniera non così vincolante e rigida, i profeti e i giusti, gli esseri sovrannaturali (figure angeliche e demoniache), gli uomini, gli animali, i defunti:

Sognare che il Sublime, l’Altissimo, esprima approvazione, si interpreta come benedizione, felicità e prosperità. Tale sogno, inoltre, indica che così lo si incontrerà nel Giorno del Giudizio poiché Egli approva l’operato della nostra vita. […] Sognare un angelo porta onore nella vita terrena, felicità e vittoria alla gente del luogo ove il sogno è avvenuto. Sognare gli angeli di rango più elevato è buon auspicio e predice sˇaha¯da, fertilità, abbondanza di pioggia, dovizia di ricchezza e modicità dei prezzi. […] Un uomo sconosciuto apparso in sogno è davvero un angelo e perciò non necessita di interpretazione. […] L’apparizione del Profeta in sogno è di buon auspicio e può indicare molte azioni di pietà purché non compaia alcun elemento riprovevole, in questo caso, infatti, il sogno è presagio di afflizione nella vita materiale e di miseria.

Citato nove volte nel Corano. Nella Sûra 12ª, in cui si narra la storia di Giuseppe, è visto come comunicazione da interpretare da parte di colui cui Dio ha dato il dono dell'interpretazione dei sogni. 12ª6 Così il Signore ti sceglierà e ti insegnerà l’interpretazione dei sogni. Nella storia sia biblica sia coranica vi sono il primo sogno di Giuseppe, i due sogni del coppiere e del panettiere del faraone, e vi è il sogno del faraone a proposito delle 7 vacche magre e delle 7 vacche grasse, e delle sette spighe, secondo una vicenda descritta anche nella Bibbia.
12ª43-44 Il re disse: «Certo, ho visto sette vacche grasse mangiate da sette magre; e sette spighe verdi, e altrettante secche. O maggiorenti, datemi una spiegazione del sogno, se sapete interpretare il sogno.» Dissero: «E' un mucchio di sogni. Non sappiamo interpretare i sogni.»
La storia di Giuseppe comunque è nota a tutti e non starò a raccontarvela. Il Corano cita ancora il sogno parlando dei detrattori del Profeta, che lo accusavano di raccontare sogni: 21ª5 Essi dissero: «Ecco piuttosto un ammasso di sogni. No, egli lo ha inventato. No, è un poeta. Ci porti un segno come quelli che avevano i primi inviati.»
* Ma veniamo globalmente al sogno nel mondo islamico. Di esso in modo specifico si occuparono sia i teologi (il sogno nel Corano, e il sogno come discorso diretto di Dio al fedele), sia gli appassionati di Magia, sia i medici psicologi e psichiatri. Lo sviluppo di una scienza onirocritica diede luogo a molti libri sull'interpretazione del sogno. La scienza del sogno (`ilm âl ta`bîr) è affidata non al veggente ma al dotto, vuoi al medico stesso. Una delle prime opere in merito fu il Libro dei sogni di Hunayn bn Îshâq (?-873), ma ben più importante fu il Tafsîr âlRu`yâ di Muhammad bn Sîrîn (?-728), cui seguirono non meno di ottomila testi ed opuscoli lungo il corso dei secoli, libri ed opuscoli sempre più scientificizzati.
Va detto anzitutto che i primi manicomi al mondo furono musulmani. Celebri quello di Aleppo, fondato da Nûr âlDîn Mahmud Zanji poco dopo il 1157, rifatto nel 1260 da âlNasir il Mamelucco, con tre sezioni: inizio, cura, cronici; quello di Divrigi, nel cuore della Turchia, fondato nel 1228 per conto della principessa Turan Malk; quello di Edirne, fondato da Beyazit II° nel 1498, descritto da Evlia Celebi, e nel quale c'era anche un reparto di musicoterapia ed uno di idroterapia per le psicosi. Vi si descriveva la suddivisione del sonno così come è stata individuata oggi: sonno REM e sonno profondo (durante il sonno REM il corpo dorme e la mente è sveglia e sogna, e durante il sonno profondo il corpo è sveglio e la mente dorme e non sogna); vi si insegnava l'interpretazione dei sogni, suddividendoli nelle tre parti note alla scienza occidentale d'oggi: il sogno comunicazione dell'inconscio (che serve egregiamente alla psicoterapia); il sogno soluzione di un problema che angustia allo stato di veglia; il sogno determinato da una situazione che d'improvviso altera l'ambiente in cui si dorme. Parlano del sonno e dei sogni alcuni fra i più importanti trattati di psichiatria: quello di Najab âlDîn Muhammad di Samarcanda (VIII secolo), quello di Âbû Sayd bn Bakhtyshu, il - Risalah fi âlTibb wa âlAhdat âlNaf saniya, in cui si discute di: olistica, psicosomatismo e somatopsiche; e i testi di Îbn Masawaih (800-857), di Âbi âlÂsh`ath (?-970), di Humaiun bn Îshaq (809-873), nei quali è maggiormente descritta la depressione; e il celeberrimo Maqâla fî âlMâlîhûliyâ (trattato della Melanconia) di Îshâq bn `Imrân (?-970), tradotto in latino da Costantino l’Africano; l'autore vi distingue acutamente tristezza, ansia, angoscia, valori psichici e valori somatici, e parla di analisi della psiche elencando le medicine appropriate.
Oltre a questi trattati scientifici, vi è poi una abbondante letteratura mistica, in cui il sogno è veicolo di comunicazioni tra il mondo dei profeti e dei maestri, e gli adepti sufi sulla terra. Ne cominciò a parlare Âbû Bakr Kalâbâdî (?-995) nel suo Libro delle informazioni sulla dottrina degli uomini del Sufismo. Tra i molti esempi, giusto a mo' di esempio cito questo passo: « Una testimonianza sull'autenticità dei sogni è data dal seguente fatto tramandato per tradizione, che ci è stato riferito e che risale ad Hasan Basrî, il quale disse: "Entrai nella moschea di Basra. Un gruppo dei nostri compagni vi si erano seduti ed io mi unii a loro. Ora, stavano parlando di un certo personaggio e ne dicevano male in sua assenza. Io dissi loro di non parlarne e citai delle tradizioni sulla maldicenza, che avevo raccolto e che risalivano all'Inviato da Dio e anche a Gesù figlio di Maria. I sufi dunque si astennero dal continuare e si misero a parlare d'altro. Dopo uh momento, il caso di quell'uomo si presentò di nuovo nella conversazione; essi ne discussero e anch'io mi misi a discuterne con loro. Poi ognuno se ne andò a casa per conto suo, e anch'io andai a casa. Mi addormentai e subito ebbi un sogno in cui un uomo di colore venne da me portando un piatto di legno di salice in cui c'era un pezzo di carne di maiale. Mi disse: "Mangia!" "Non la mangerò, è carne di maiale." Egli insistette ed io diedi la stessa risposta; poi una terza volta ed io ancora risposi: "Non mangerò, è carne di maiale, ed è proibita." "Tu la mangerai!" Io rifiutai ancora. Allora egli mi aperse le mandibole e mi mise in bocca il pezzetto di maiale. Io mi misi a masticare, poiché l'uomo di colore era rimasto davanti a me, e avevo ad un tempo timore a sputare il boccone e disgusto ad inghiottirlo. Fu in queste condizioni che mi svegliai; e per trenta giorni e trenta notti - non potei proprio farci nulla! - in tutto ciò che mangiavo e in tutto ciò che bevevo trovavo il sapore e l'odore della carne di maiale.»
L'iraniano Shihâb âlDîn Suharawardî (1155-1191), uno dei massimi maestri dell'esoterismo sufi, nel suo Libro dei raggi della Luce (Partaw Nâmeh) scrisse: «Può accadere che l'anima percepisca una forma di grande bellezza, la quale gli rivolge un discorso di bellezza altrettanto grande. Può accadere che senta una voce chiamarla, oppure leggere un testo scritto. Tutto ciò avviene nel sensorium. Accade anche che l'immaginazione attiva liberi tutto ciò e lo trasferisca in qualche cosa di analogo, oppure in qualche cosa di opposto. Se accade in sogno, occorrerà una interpretazione (ta'bîr). Se ciò accade nello stato di veglia, occorrerà un'ermeneutica dei simboli (ta'wîl). La parola "sonno" (khwâb) indica uno stato in cui lo spirito (rûh) si ritira dall'esterno (zâhir, l'essoterico) all'interno (bâtin), l'esoterico.»
E ancora. Nel suo Racconto dell'esilio occidentale (Qissat âlGharbat âlgharbîya) leggiamo: «La notte è la caduta delle pastoie imposte dalle percezioni sensorie. E' la libertà per l'Immaginazione attiva al servizio dell'Intelligenza che l'ispira. Questa notte mistica è dunque, di fatto, l'ora dell'Îshrâq (la Luminosità, l'Illuminazione).» Un anonimo scrittore iraniano così commentò questo passo: « L'autore intende dire qui che durante la notte, grazie al sonno, voi potete salire nel mondo superiore e contemplare le pure forme spirituali, grazie al fatto che, durante il sonno, i sensi sono dismessi dalle loro funzioni e non dominano più. Ma durante il giorno, nello stato di veglia, è impossibile che tu possa fare ciò, a causa della tirannia dei sensi. In altre parole: con la morte si può giungere al mondo degli esseri spirituali puri. Orbene, il sonno è una seconda morte. Il Corano allude a ciò: Dio riceve le anime nel momento della morte, e riceve anche quelle che, senza morire, sono nel sonno (39/49)... Durante il sonno, grazie all'abdicazione dei sensi noi possiamo contemplare qualche cosa del mondo dell'Angelo [...]. Allora sentiamo nostalgia della nostra patria spirituale, poiché anche noi apparteniamo a quel mondo.»
Concluderò con il massimo poeta sufi, Jalâl âlDîn Rûmî (1207-1273), detto il san Francesco della gente turca. Dal suo capolavoro, il Mathnawî, il più grande poema mistico dell'umanità tutta (due volte la Divina Commedia) leggiamo: (Volume 4°, 425-429) «La notte, in ogni casa c’è una lampada affinché quelli che vi abitano possano essere salvaguardati dall’oscurità. /Quella lampada è come questo corpo, la sua luce è come la psiche; le occorre uno stoppino, e questo, e quello; / La lampada che possiede sei stoppini, ossia i sensi [i cinque sensi, più il “senso comune”, il hiss-i mushtarak], è basata interamente sul sonno e sul cibo. / Senza cibo e senza sonno, non vivrebbe neppure un momento; e persino col cibo e col sonno non vive. /Senza stoppino e senza olio, non dura, e con uno stoppino e dell’olio è altrettanto effimera.»

I sogni nella tradizione indiana: dal Tibet ai Veda

Nelle cosiddette mistiche superiori, riscontriamo che in uno dei più vecchi testi della tradizione induista, come le Upanishad, sia fatto specifico riferimento alla condizione di sonno-sogno, attraverso cui l’essere si trasferisce dal mondo manifesto a quello immanifesto o dei piani ultrasottili.

Degno di attenzione quanto espresso nella “Brihad-Aranyaka Upanishad” a proposito dello stato di sonno-sogno:

- Ajatasatru disse: "Quando un uomo si addormenta così, la persona fatta di coscienza raccoglie la coscienza di tutti i sensi e si ritira nello spazio all’interno del cuore. Quando i sensi sono così trattenuti si dice che l’uomo è addormentato. Allora il respiro è trattenuto. La voce è trattenuta. L’occhio è trattenuto. L’orecchio è trattenuto. La mente è trattenuta. Quando si addormenta, questi mondi sono suoi. Allora diventa un grande re, portando con sé la sua gente, si muove a proprio piacimento nel suo regno, così la persona fatta di coscienza, portando con sé i sensi, si muove a proprio piacimento nel corpo. Quando si entra nel sonno profondo, in cui non c’è più coscienza di nulla, la persona fatta di coscienza esce attraverso i 72.000 canali che dal cuore conducono al pericardio e ivi si riposa. Si riposa come un giovane, o come un grande re, o come un bramino che ha raggiunto il culmine della beatitudine. Come un ragno secerne la sua tela, come le scintille sprizzano dal fuoco, così da questo Sé emergono tutti i soffi vitali, tutti i mondi, tutti gli déi, tutti gli esseri. Il suo significato mistico è “la Realtà della Realtà”. In verità, i soffi vitali sono la realtà. Esso è la loro Realtà."

Da millenni appunto, nell’Induismo, nel Buddismo, nel Taoismo e nelle culture tradizionali di tutto il mondo è stata dimostrata l’esistenza di una classe di esperienze oniriche che hanno favorito l’evoluzione del progresso culturale e religioso dell’umanità. Sempre da tempi molto antichi, inoltre, sono ben documentate sia la possibilità di sviluppare la consapevolezza del sogno, per ottenere esperienze profonde e ispirazione, sia la capacità di controllare il sogno stesso.

Storicamente la filosofia buddhista ha assunto nei Paesi in cui si è diffusa caratteristiche particolari, poiché ne ha riassorbito il sostrato spirituale e ha utilizzato «le forme esterne delle fedi locali per rendere più facile il passaggio ai concetti buddhisti». Questo è quanto è successo anche in Tibet, dove il Buddhismo ha integrato molte credenze e usanze del Bön, l’antichissima forma autoctona di sciamanismo secondo cui nel sogno è possibile ricevere insegnamenti fondamentali. Infatti, i maestri che hanno sviluppato l’alta dote di permanere nella coscienza e vantano una lucidità oggettiva e superiore, possono accedere al gong-ter, ossia al ‘tesoro della mente’, che è nascosto negli abissi dell’essere e appartiene all’Umanità. Il procedimento si realizza nel corso del rito chöd (‘recidere’), una pratica visionaria che concerne il Bön e che si rifà al concetto di smembramento tipico della tradizione sciamanica. La funzione della cerimonia è il conseguimento del distacco dal corpo e la totale offerta di sé al prossimo. La tradizione vuole che il chöd sia stato fatto conoscere al Maestro Tongjung Thuchen proprio nei suoi sogni, affinché potesse poi trasmetterlo. Durante il rito l’adepto, solo in un luogo macabro di montagna, danza:

[…] identificando le sue passioni e i suoi desideri con il suo corpo, lo offre in banchetto alle Dakini. In seguito lo visualizza come un «cadavere grasso e succulento» di vaste dimensioni e, ritirandosi mentalmente da esso, contempla la Dea Vajra-yogini che ne recide la testa, trasformando il cranio in un calderone gigantesco nel quale getta grossi pezzi delle sue ossa e brandelli della sua carne. Quindi, mediante le parole di potere, l’adepto tramuta l’intera offerta in amrita (‘nettare’) e invita i diversi esseri soprannaturali a divorarla.

Il Buddhismo tibetano è definito lamaismo per l’importanza che storicamente assume nella sua tradizione la figura del Lama, ‘Maestro’. Il lamaismo prevede infatti una struttura fortemente gerarchizzata e teocratica in cui il potere anche politico spetterebbe al Dalai Lama, ‘Maestro che è oceano di saggezza’, e il potere spirituale al Pan c’en-Lama. Secondo le antiche consuetudini il primo risiedeva nel convento Potala a Lhasa, il secondo dimorava nel monastero di Tashi Lhumpo. Ai due Lama seguono nell’ordine gerarchico 180 Hutuktu, ritenuti incarnazioni di bodhisattva. Alla morte del Lama, gli alti religiosi si mettono alla ricerca di un bambino che, secondo il loro giudizio e in base all’accadimento di eventi straordinari, risulta essere la reincarnazione in cui si è rifugiata l’anima del defunto. Infatti, nel caso in cui le previste prove di accertamento confermino la legittimità della scelta, il piccolo individuato occupa il posto del Lama precedente.

Il lamaismo, che predica il culto della naturalezza e dell’assoluta non-violenza, è molto attento all’alternarsi di fasi che costituiscono il Ciclo, l’eterno divenire, e presuppone una riflessione quanto mai semplice sull’uomo. Quali che siano la sua natura, il suo comportamento, il suo ruolo, il suo senso etico o la sua cultura, l’essere umano termina la giornata sempre allo stesso modo: dormendo. Lo stato di sonno per i tibetani rappresenta un’opportunità senza pari nel conseguimento di un livello superiore nella scala dell’evoluzione interiore. Secondo la loro cultura quando l’uomo si addormenta vive un momento di passaggio in cui tutto ciò che conosce di sé si dissolve nel buio per ricomparire in una dimensione diversa, profondamente esoterica, che si palesa attraverso le immagini del sogno.

A tutti è dato sognare, a prescindere dalla capacità di ricordarlo. Per i tibetani la dimensione onirica è un fatto misterico che consente di sviluppare la consapevolezza, fornendo insegnamenti preziosi percepibili in maniera più immediata rispetto allo stato di veglia, poiché nel sogno l’uomo è libero da vincoli, condizionamenti e filtri, estremamente attivi nella quotidianità. Durante il sogno l’uomo contatta un bagaglio di Conoscenza che appartiene all’Umanità e che deriva dal proprio Saggio interiore e dall’esperienza dei Maestri ascesi, presente in lui come una sorta di Dna spirituale e pronto a riemergere.

Il sogno diventa quindi un’occasione irrinunciabile per lavorare su se stessi, data la sua intrinseca qualità di far percepire, o almeno assaporare, la valenza del proprio Sé, a differenza della cosiddetta vita «reale», durante la quale l’uomo vive il limite dell’identificazione con la materia, con le proprie emozioni, con i desideri.

Quindi, in alcuni nasce la necessità della Pratica, ossia della costante applicazione di se stessi al conseguimento dello scopo supremo secondo la spiritualità tibetana: la Liberazione, che, in altri termini, è il ricongiungimento dell’individuo con la Fonte Divina. Sorgono allora, secondo la tradizione, varie tecniche di Yoga meditativo, che portano a una presenza vivida e attenta dell’uomo, che nel sonno è meno afflitto dalle distrazioni abituali. Le tecniche vengono attuate con l’obiettivo di conseguire una continuità dello stato di coscienza, forma di consapevolezza permanente. Quando il praticante consegue un livello di stabilità ed equilibrio in questo senso, lo Yoga del sogno diventa anche preparazione al bardo, quello stadio che si vive nell’intervallo tra la morte e la rinascita, cui è necessario prepararsi durante la vita terrena per potersi liberare con facilità del proprio corpo e passare consapevolmente all’incarnazione successiva:

La pratica della luce naturale riguarda fondamentalmente lo stato che precede il sogno. Ad esempio, una persona si addormenta, e addormentarsi significa che tutti i sensi svaniscono all’interno. Da quel momento c’è un periodo di transizione, di passaggio, fino a che si comincia a sognare. Tale periodo può essere più o meno prolungato. Per alcune persone lo stato del sogno inizia quasi subito non appena ci si addormenta. Ma che cosa significa lo stato di sogno? Significa che la mente riprende a funzionare. Al contrario, il cosiddetto stato o momento della luce naturale non implica il funzionamento della mente. È il periodo che va dal momento in cui ci si addormenta fino a quando la mente riprende a funzionare. Cosa avviene dopo? Inizia quello che è detto il milam bardo (rmi lam bar do), lo ‘stato intermedio del sogno’. Esiste una corrispondenza fra gli stati del sonno e del sogno e le esperienze che si hanno alla morte. Quando una persona muore, prima di tutto i sensi svaniscono. In riferimento agli stati di bardo, si parla del bardo del momento della morte, il chikhai bardo (‘chi kha’i bar do). Durante questo periodo il morente ha molte sensazioni legate alla graduale scomparsa o perdita delle funzioni dei sensi. Quindi, sopraggiunge uno stato di incoscienza, simile a uno svenimento, e a questo punto inizia la manifestazione delle quattro luci. […] In realtà è come se si fosse svenuti e, con il sorgere delle luci, la coscienza inizia a risvegliarsi molto lentamente.

Secondo la cultura tibetana l’uomo comune è un essere imbrigliato nelle trame del Samsara, il regno della sofferenza causata dall’ignoranza e dalla visione duale. La visione duale appartiene all’essere umano da quando la mente logica ha cominciato a operare delle distinzioni, rompendo l’idea di Unità per cui ogni cosa è parte del Tutto e cominciando a creare il concetto di categorie opposte attraverso cui tutti giudicano. Da allora al bello si contrappone il brutto, al bene il male, alla vita la morte. I maestri tibetani insegnano che, a causa di un’identificazione con questo pensiero frazionato, l’uomo è caduto nella trappola di valutare reale la quotidianità, mentre l’unica realtà è quella interiore. E così, come subisce i fatti della vita terrena considerandoli veri, percepisce come vere le immagini della mente che gli si prospettano durante il sogno:

In un sutra Buddha Shakyamuni descrive, mediante l’uso di diverse metafore, il mondo fenomenico da noi generalmente considerato reale. La nostra realtà viene paragonata a una stella cadente, a un’illusione ottica, alla fiamma tremolante di una lampada, alle gocce di rugiada all’alba, alle bolle d’acqua, al fulmine, a un sogno e alle nuvole. Secondo il Buddha, tutta l’esistenza, tutti i dharma e in pratica tutti i fenomeni sono assolutamente irreali e soggetti a repentino mutamento come gli esempi appena menzionati. Un altro sutra utilizza ulteriori immagini poetiche per mostrare la natura irreale della nostra condizione di esistenza. Queste includono il riflesso della Luna nell’acqua, un miraggio, una città fatta di suoni, un arcobaleno, il riflesso in uno specchio e ancora una volta un sogno.

La Pratica è la possibilità di affrancarsi dall’ignoranza e dalla visione duale, e la Liberazione comporta il conseguimento del Nirvana, stato di unitarietà proprio dell’Illuminazione, che implica una beatitudine indefinibile. L’uomo che osserva oggettivamente il suo modo di affrontare le esperienze della vita sa già come affronterà il viaggio post mortem e, soprattutto, se è realmente sveglio o se ancora conduce un’esistenza da addormentato. Saper sviluppare una capacità di attenzione nel sogno comporterà, invece, la possibilità di vivere attivamente il proprio bardo.

Nell’ambito della tradizione tibetana il concetto di ignoranza è un punto cardine per la comprensione di un eventuale percorso spirituale. Ogni esperienza della vita, inclusi i sogni, sorge proprio dall’ignoranza, cioè dall’innata incapacità di comprendere la natura propria e quella del mondo. È infatti l’incapacità di percepire l’oggetto in maniera integrale e obiettiva a rendere l’uomo vittima della visione duale, e il sogno, illusione indispensabile alla crescita così come la vita terrena, è lo spazio in cui con nitidezza si possono identificare e vivere le proprie contraddizioni e discriminazioni basate sui concetti di piacere e di volere:

La tradizione tibetana distingue tra due tipi di ignoranza: quella innata e quella culturale. L’ignoranza innata è la base del Samsara, la caratteristica che definisce gli esseri ordinari. È ignoranza della nostra vera natura e della vera natura del mondo e ci fa cadere prigionieri delle illusioni della mente dualistica. Il dualismo reifica polarità e dicotomie. Divide l’unità inscindibile dell’esperienza in questo e quello, giusto e sbagliato, tu e io. Basandoci su queste divisioni concettuali, sviluppiamo preferenze che si manifestano come attaccamento e avversione, le risposte abituali che formano la maggior parte di ciò che identifichiamo come noi stessi. […] Esiste un altro tipo di ignoranza che è condizionata culturalmente. Sorge quando desideri e avversioni vengono istituzionalizzati in una cultura e codificati in sistemi di valori. […] I diversi credo nascono dai pregiudizi e dalle credenze che sono parte delle varie culture, non della saggezza fondamentale.

La visione duale caratterizza l’esistenza sino al momento dell’Illuminazione ed è la madre di tutte le emozioni negative. Queste ultime sono alla base dell’agire e costituiscono il karma individuale. Questa legge non risparmia il mondo onirico, in cui si manifestano evidenti tracce karmiche. L’uomo riceve inconsapevolmente degli input dalla quotidianità che lo inducono a reagire anche all’interno del sogno.

Ecco quanto sostiene Tenzin Wangyal Rinpoche:

Qualsiasi reazione a qualsiasi situazione, esterna o interna, da svegli o in sogno, che abbia le sue radici nell’attaccamento o nell’avversione, lascia una traccia nella mente. Man mano che il karma detta le reazioni, esse a loro volta gettano ulteriori semi karmici, che dettano altre reazioni, e così via. Così il karma produce altro karma. È la ruota del Samsara, il ciclo senza fine di azione e reazione.

Il ricordo di ogni esperienza è un’immagine che l’uomo imprime a fuoco in sé e serba in quel grande bagaglio personale che è l’inconscio. Secondo l’insegnamento tibetano, le forti emozioni rievocano immagini che diventano il simbolo delle varie tracce karmiche. Il sogno è la narrazione analogica delle immagini rielaborate dalla coscienza, che ha la funzione di portare la luce sugli oggetti smarriti o nascosti nella parte più recondita del Sé.

Lo Yoga del sogno parte dal presupposto di comprendere il karma per poter reagire in maniera positiva alle esperienze di cui finalmente si comprende la dinamica spirituale. Non è una pratica che si prefigge la manipolazione dell’inconscio, ma un affinamento della capacità di introspezione in vista di un ampliamento della consapevolezza, affinché l’osservante diventi cosciente che ogni situazione è opportunità di crescita:

Nel sogno le tracce karmiche si manifestano nella coscienza prive dei legami della mente concettuale, attraverso cui così spesso razionalizziamo una sensazione o una fuggevole immagine mentale, allontanandola. Possiamo pensare a questo processo nei seguenti termini: durante il giorno, la coscienza illumina i sensi e sperimentiamo il mondo, intessendo esperienze sensoriali e psichiche all’interno del complesso significativo della nostra vita. Di notte, la coscienza si ritira dai sensi e risiede nella base. Se abbiamo sviluppato una forte pratica della presenza, con una grande espe rienza della natura vuota e luminosa della mente, allora saremo coscienti di questa pura, lucida consapevolezza e presenti in essa. Ma, per la maggior parte di noi, la coscienza illumina gli oscuramenti, le tracce karmiche, e queste si manifestano come sogni.

Secondo la visione yogica l’esercizio consente al praticante di bruciare i semi karmici che condizionerebbero il suo futuro. Quando si manifestano per la prima volta durante un episodio onirico, in una fase di chiara luce, l’uomo, libero da condizionamenti, può affrontarli e risolverli prima che attecchiscano nella quotidianità. Ciò avviene nello stato che i tibetani definiscono rigpa, letteralmente ‘coscienza innata’, ossia uno stato di piena consapevolezza in cui si recupera la visione non duale. Se il praticante non è ancora in grado di sperimentare questa condizione, può comunque lavorare sui sogni attivando in essi comportamenti positivi e spirituali, finché non sarà pronto ad abbandonare la visione degli opposti che implica distinzioni e predilezioni. Quando la coscienza sarà totalmente libera dai tratti bui e dai residui karmici che sono la radice dei sogni, potrà vivere incondizionatamente pura, nella Luce. Allora non ci sarà più necessità di sognare e si conseguirà l’Illuminazione, lo stato supremo che non a caso suole anche definirsi Risveglio.

Esistono tre tipi di sogno:

– I sogni samsarici. Sono quelli ordinari, che traggono origine dalle tracce karmiche. La loro rilevanza è connessa al sognatore, che attribuirà loro un significato la cui valenza è strettamente personale: infatti, lo stesso sogno prodotto da un’altra mente avrebbe interpretazione e senso diversi, così come una stessa esperienza nella quotidianità segna due persone in maniera differente, a seconda delle loro peculiarità.

– I sogni della chiarezza. Costituiscono palesemente un gradino superiore nella scala evolutiva del praticante. Sono meno soggetti ai condizionamenti karmici e sono il premio per un’acquisita capacità del sognatore di mantenere attenzione nel sogno spingendosi oltre il limite della visione duale. Non sono più un’esperienza meramente personale, in quanto il sognatore può rintracciarvi insegnamenti ed elementi in genere appartenenti alla Conoscenza oggettiva. Se i sogni samsarici, che si connotano come semplice espressione del nostro vissuto quotidiano, sono semplicemente illusione, i sogni della chiarezza si avvicinano notevolmente alla purezza. Sebbene possa occasionalmente succedere anche a una persona comune di fare sogni appartenenti a questa categoria, è naturale che essi appartengano abitualmente a individui evoluti che praticano costantemente.

– I sogni della chiara luce. Sono i sogni più elevati che si manifestano soltanto al praticante evoluto, in grado di mantenere una condizione di mente pura. Sono per colui, cioè, che sa vivere il rigpa nella quotidianità così come nel sogno. Questo particolare stato di coscienza non è, come molti intendono, l’assenza di pensieri, ma la capacità di non attaccarsi e identificarsi con essi, lasciandoli nascere e svanire nella più totale naturalezza oltre i limiti di ogni connotazione e di ogni dualità.

Il primo tipo di sogni deriva dall’esperienza e dalle emozioni, i secondi dalla coscienza, i terzi non sono più una vicenda individuale in cui si distingue il sogno dal sognatore, il significante dal significato, ma rappresentano esclusivamente un’attività della mente nei confronti della quale il praticante mantiene un atteggiamento di osservazione, data l’ormai conseguita capacità di ripartire la propria attenzione.

La funzione del sogno per i mistici tibetani è, dunque, evidente: è un insostituibile indicatore nella pratica spirituale. Fornisce le motivazioni per entrare nel cammino, rivela il grado evolutivo del praticante e la corretta esecuzione della Pratica. Un vero Maestro usa i sogni degli allievi per comprenderli e percepire il giusto momento per l’assegnazione di un nuovo compito, altrimenti verifica tramite l’attività onirica se i discepoli stanno davvero lavorando su di sé.

L’insegnamento del Dzogchen è molto interessato alle esperienze del sogno e a tutti i fenomeni ad esso correlati nonché la prescienza (preveggenza). Alcuni metodi, tra cui anche lo “Yoga del sogno” sono impiegati per sviluppare una maggiore consapevolezza allo scopo ultimo di conseguire la liberazione.

Secondo l’insegnamento Dzogchen i sogni possono essere raggruppati in due categorie: i sogni di tipo più comune, causati dalle tracce karmiche - “sogni karmici” - e i sogni che rilevano un’opportunità di accesso alla dimensione spirituale - “sogni di chiarezza”.

I sogni di tipo karmico possono risalire ad una vita passata, alla giovinezza e al passato più recente della persona.

Nella tradizione della medicina tibetana, un medico che indaga le origini di una malattia considererà anche a quale di questi tre stati di esistenza si riferiscono i sogni del malato. A volte, se una persona è affetta da una grave malattia molto difficile da curare, ciò può essere dovuto a cause karmiche risalenti all’infanzia, o persino a una vita passata; ma, una malattia può anche scaturire da una causa karmica maturata in base ad azioni recenti. Perciò, in questi casi, l’esame dei sogni è uno dei mezzi più importanti per analizzare e individuare le cause primarie e secondarie del problema.

Nei sogni condizionati dalle tracce karmiche, possono apparire cose sconosciute delle quali non si è avuta esperienza in questa vita, come visioni di altri paesi, o di gente dalle usanze e dalla lingua ignote.

Per alcuni individui, i “sogni di chiarezza” sorgono spontaneamente dalla limpidezza della mente, senza la necessità di applicare metodi secondari per rilassare il corpo, o controllare l’energia.

Lo “Yoga del sogno” riguarda fondamentalmente lo stato che precede il sogno. Se siete persone di natura agitata, prima di andare a letto potete fare alcuni esercizi di respirazione profonda per regolare il flusso del respiro e calmarvi. Quindi concentratevi sulla lettera -A-, immaginandola di colore bianco, in modo che, visualizzandola automaticamente, riconosciate il suo suono. Questo simbolo rappresenta l’unificazione dello stato di coscienza di tutti i vostri maestri.

Se non riuscite a concentrare e a visualizzare questa lettera, il problema può essere che non siate in grado di ; in questo caso, scrivete una -A- su un foglio di carta, ponetela di fronte a voi e fissatela un po’. Quindi, chiudete gli occhi, e questa -A- apparirà immediatamente alla vostra mente. Cercate di rilassarvi senza mai abbandonare la -A- sino a che non ci si addormenta.

Con questa visualizzazione si utilizza l’attività mentale allo scopo di raggiungere, infine, uno stato che trascende la mente. E’ ugualmente molto importante ricordare la pratica della -A- bianca nel momento in cui vi svegliate al mattino.

Se possibile, intonate subito il suono -AAAA-. Se non potete farlo perché qualcuno dorme accanto a voi, è sufficiente esalare il respiro con il suono -AAAAA- in modo da potervi udire e sentire la presenza della -A- bianca. Ricordando la -A- bianca al mattino e poi concentrandola di nuovo alla sera, si viene a creare una specie di connessione, o continuità di presenza.

La visualizzazione della -A- nella gola, è particolarmente adatta per ricordare i sogni, e ha la specifica funzione di controllare l’energia e la chiarezza. Quando si visualizza la -A- bianca nel cuore, si lavora nel principio della luce naturale.

Se avete avuto una giornata particolarmente faticosa e, tornati a casa, vi è rimasta solo l’energia per mangiare e andare a letto, cadrete in un sonno pesante, e molto difficilmente si manifesteranno sogni di chiarezza. A causa del sonno pesante, inoltre, potrà risultare difficile persino ricordare i sogni. Tuttavia, avvicinandosi all’alba, appena prima del risveglio, i vostri sogni possono diventare più chiari.

Un sogno associato alla chiarezza può avere un significato particolare per il sognatore. Può indicare molte cose.

Quando si sviluppa la chiarezza è molto facile avere particolari manifestazioni durante il sogno, come per esempio scoprire qualcosa riguardante il futuro.

I sogni di chiarezza sono legati alla nostra saggezza innata, ai semi karmici che abbiamo prodotto attraverso l’esperienza della meditazione e alle azioni positive svolte anche nella nostra attività quotidiana. Vi sono altri sogni legati alla chiarezza nei quali è possibile fare molte cose, come studiare, leggere, o apprendere. Una persona che riceve una “trasmissione”, anche se in quel momento non ha la capacità di comprendere, in futuro prima o poi scoprirà il significato dell’insegnamento.

I sogni, in conclusione, sono parte della nostra vita. Nella vita abbiamo il giorno e la notte. Di notte abbiamo confusione nei sogni; di giorno abbiamo confusione nella mente; giudichiamo, pensiamo, creiamo tante cose. Mantenere la consapevolezza nello stato del sogno, significa continuare la stessa presenza che abbiamo durante il giorno, e, con la pratica, farla progredire.

Ritornerà così ad essere unica la relazione originaria all'interno dell'individuo, o lo stato della relazione fra il maschile e il femminile, soggetto e oggetto, luce e ombra, verità e amore.